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U2 a Milano: dall’innocenza alla saggezza, passando per l’esperienza

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C’è una luce che non riusciamo sempre a vedere, se c’è un mondo in cui non riusciamo sempre ad essere”. Finisce così, sulle note di 13 (There Is A Light) il concerto milanese dell’Experience + Innocence Tour, con Bono, la voce della band, che scende tra il pubblico, fino a scomparire in esso. A molti è sembrata un’uscita di scena, una voglia di scomparire, suffragata dalle dichiarazioni di pochi giorni prima, in cui il cantante ha dichiarato di non dare per scontato che la band sarebbe tornata in tour. Molti fan hanno vissuto i concerti milanesi con questa sensazione, commossi, grati alla band, con la paura di non rivederli più. Non sarà così. Ma, molto probabilmente, è il momento della band di prendersi una pausa, dopo tre tour in quattro anni, di fermarsi e “sognare tutto da capo”, come annunciarono in quel capodanno del 1990 al Point Depot di Dublino, dove chiusero l’era di The Joshua Tree e Rattle And Hum. Quegli U2 morirono lì, per rinascere a Berlino.

Proprio quel momento, in cui a Berlino i muri crollavano nella città, e stavano salendo all’interno della band, è entrato al centro della narrazione durante le date del tour. La band, che nel concerto racconta un percorso che parte dall’innocenza per arrivare alla saggezza, attraverso l’esperienza, ha lasciato da parte lo storytelling sulla loro adolescenza (la madre, Iris, e le giornate passate a Cedarwood Road) per entrare in quel momento chiave della sua storia, quei giorni a Berlino in cui nacquero Achtung Baby e Zooropa. E così la prima parte del concerto si chiude con un trittico di canzoni molto significative, per loro e per i fan: le distorsioni i Zoo Station, brano simbolo di Achtung Baby, la dolcezza di Stay, la canzone più bella di Zooropa, Who’s Gonna Ride Your Wild Horses, suonata in una nuova versione, più potente, con un crescendo della sezione ritmica, che chiude la prima parte dello show. Tre semplici canzoni, lanciate in scaletta a Copenhagen e Amsterdam, che vogliono dire molto: la voglia di raccontare un periodo chiave della loro carriera, ma anche di andare incontro a un pubblico che chiedeva novità in una scaletta che, negli show americani come nei primi concerti europei, sembrava ingessata.

Per inserire queste canzoni hanno rinunciato a una serie di animazioni che erano pronte nel cuore dello show, suonando quasi senza un comparto visivo al loro servizio, come una band agli esordi. E dimostrando di saper tenere la scena anche senza orpelli tecnologici. Che, sia chiaro, sono una parte importante di questo tour, gemello di quello di tre anni fa, ma ulteriormente migliorato: con uno schermo che taglia le arene in tutta la loro lunghezza, con una definizione ancora maggiore rispetto a quella del tour precedente. E che non è solo uno schermo: loro lo chiamano the barricage – barricade più cage, un po’ barricata, un po’ gabbia – ed è un marchingengno dove la band entra, si arrampica, cammina e interagisce con le proiezioni. Come in Blackout, il brano che apre il concerto, in cui vediamo le sagome giganti della band sullo schermo, prima di vederla apparire al suo interno.

Prima di The Blackout, sulle note introduttive di Zooropa, sul grande schermo scorrono le immagini delle città europee, quelle che il tour sta toccando, in macerie dopo la Seconda Guerra Mondiale. Fuori campo c’è il discorso di Charlie Chaplin ne Il grande dittatore (a un certo punto appare sullo schermo) in cui dice “you, the people, have the power”. È l’inizio di un filo conduttore che porterà gli U2 a toccare le politiche locali (prima di Acrobat, nei panni del suo alter ego McPhisto, alias il Diavolo, lancia qualche stoccata prima a Mussolini e poi alla recente idea di chiudere i ristoranti etnici alle 21) e quelle globali. Così Summer Of Love ricorda gli sbarchi dei migranti, Pride diventa un inno attualissimo contro tutti i fascismi e i nazismi che stanno prendendo piede nel nostro continente e New Year’s Day, cantata sotto un’enorme bandiera blu con le stelle d’oro, un inno all’Europa unita, contro i nazionalismi e i particolarismi. La grandezza di una band e delle sue canzoni sta anche in questo, nel non perdere mai il loro significato, nel loro riuscire a farsi portatrici di nuovi messaggi, anche se sono scritte trent’anni prima. Sul palco del nuovo tour, Pride e New Year’s Day hanno ritrovato nuova vita: non solo per il nuovo messaggio che sono riuscite a lanciare, ma anche per il nuovo arrangiamento, una sezione ritmica più potente nell’intro della prima, un basso distorto e un nuovo uso delle tastiere nella seconda. Più dure, più potenti.

Chi scrive ha visto per la prima volta gli U2 proprio al Forum di Assago, nel 1992. Era lo Zoo Tv Tour. Allora non c’era internet, e non si sapeva niente del concerto che si andava a vedere. Che sorpresa, quel concerto che sembrava voler srotolare subito il nuovo album, quell’Acthung Baby che occupava le prime otto canzoni in setlist, e poi, di colpo, capire che il concerto sarebbe diventato qualcos’altro. Oggi si sa tutto prima, e sui gruppi di fan, sui social network, se ne discute apertamente. C’è stata la delusione per i pezzi di The Joshua Tree una volta capito che non ci sarebbero stati. Il tripudio per Acrobat, da Achtung Baby, la canzone mai suonata prima, che hanno deciso di regalare finalmente ai fan. Qualche dubbio sulle scalette sempre uguali dei primi concerti. E poi, la sorpresa per le novità del periodo “berlinese” inserite nelle ultime date. Nella seconda data di Milano la grande sorpresa, all’inizio degli “encores”, è stata Landlady, dedicata alla moglie Ali, uno dei brani più amati del nuovo album, mai suonata finora dal vivo. Alla fine dei primi due concerti milanesi, più di altre volte, ci siamo resi conto come questo Experience + Innocence Tour sia – dopo il The Joshua Tree Tour 2017, che era un concerto dedicato a un pubblico più ampio – più di ogni altro uno spettacolo dedicato ai fan più intimi, più appassionati, quelli che amano tanto i primi dischi quanto l’ultimo. C’è la voglia di credere in quest’ultimo lavoro, proponendone molte canzoni, c’è la voglia di regalare ai fan qualche perla nascosta, c’è la voglia di raggiungerli in ogni angolo delle arene gremite. In questo show gli U2 suonano ovunque e per chiunque: sul palco principale, girandosi verso la “curva” dietro il palco, sulla passerella schermo che taglia la venue, sul secondo palco, o disponendosi “a croce” – Bono e Larry sui due palchi, Adam e The Edge su due pedane, in mezzo al pubblico, uno a destra e uno a sinistra – durante Pride. E in quell’uscita di scena di Bono, speculare all’inizio del tour gemello di tre anni fa, c’è tutta la voglia di ribadire che gli U2 vengono dalla gente, e tra la gente vogliono tornare. U2, cioè “anche tu”, significa questo.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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