Venezia 75 si avvia lentamente alla sua conclusione. Il Lido si sta pian piano svuotando, le file per entrare in sala sono drasticamente diminuite e di star se ne vedono sempre meno. Ma i film, quelli, ci sono sempre.
Per chiudere il concorso ufficiale manca ancora un film (Killing di Shinya Tsukamoto) e quindi non vogliamo affrettare i pronostici. E’ giusto però parlare delle due pellicole passate in competizione in questa nona giornata di festival. Ed iniziamo dal cinema italiano, rappresentato in questo caso da Mario Martone e dal suo Capri – Revolution. Il regista napoletano, presenza costante della Mostra, firma quello che forse è il suo film più
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bello, profondo, poetico. Martone negli scorsi anni ci aveva emozionato con l’affresco storico Noi credevamo e poi con il biografico Il giovane favoloso su Giacomo Leopardi, e questa volta ci porta a Capri, nel 1914, a ridosso dell’inizio della prima guerra mondiale, quando l’isola campana ospitava una piccola comunità “proto-hippie” di artisti nordeuropei. “Mi interessava parlare dell’arte come fatto politico al di là della dimensione estetica”, ha spiegato il regista. “Per questo motivo – ha proseguito – ho scelto di rappresentare le danze, le performance, perché danno il senso dell’arte come relazione, come motore dei rapporti umani”. La protagonista del film è Lucia, giovane capraia dell’isola che entra in contatto con la comune. Ad interpretarla è una bravissima Marianna Fontana, rivelazione di Indivisibili: “Mi sono preparata molto parlando con Mario, ma sono anche andata a pascolare e a mungere capre. In più ho frequentato seminari e ho letto molto sulle comuni”, ha dichiarato l’attrice. “Tramite questo personaggio ho capito ancora di più l’importanza di aprirsi al mondo”, ha poi concluso.
Se il film di Martone è stato accolto con entusiasmo e tanti, sentiti, applausi, reazione diversa c’è stata per l’altro film in concorso della giornata e cioè The Nightingale dell’australiana Jennifer Kent, un revenge movie ambientato in Tasmania, nel 1825, che racconta il dramma di una giovane detenuta irlandese che assiste all’assassinio del marito e del figlio. A far parlare, però, non è stata tanto la netta divisione tra fischi e applausi, quanto lo stupido insulto sessista che si è sentito (urlato) in sala a fine proiezione stampa, nel momento in cui è comparso il nome della regista sullo schermo. Un gesto assolutamente da censurare che ha avuto eco internazionale e che è diventato l’argomento del giorno, non solo al Lido, ma anche sui social network. La Kent, già autrice del sorprendente horror Babadook e unica regista donna in concorso a Venezia 75, in conferenza ha risposto con grande classe a questo insulto: “Di fronte a cose di questo genere, bisogna reagire con amore e compassione, che sono l’unica formula per sconfiggere l’ignoranza”. Il suo film non avrà fatto una bella figura qui al festival, ma lei sicuramente sì.