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The Americans: il meraviglioso addio ad una delle serie tv più belle degli ultimi anni.

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Les jeux sont faits. Time has come. Il dado è tratto. Possiamo dirlo in tutti i modi ma la realtà rimane sempre e solo una: The Americans è giunto al termine. La serie FX iniziata nel 2013 ha chiuso i battenti con la sesta stagione e ha regalato un finale perfetto sotto ogni punto di vista. E pensando alla conclusione del lavoro firmato da Joe Wiseberg e Joel Fields ci sentiamo di dire che il mondo della serialità dice addio ad un grandissimo protagonista.
Pur non essendo mai stato un prodotto di massa infatti, The Americans ha contribuito ad alzare l’asticella della qualità dei prodotti televisivi degli ultimi anni. Sarà che le storie di spionaggio fanno sempre colpo o che gli anni 80 non erano stati ancora rivisitati sul piccolo schermo (Stranger Things era lontano) ma fin dal primo episodio The Americans è riuscito a farsi notare in un palinsesto già di per sé ricco, senza avere nulla da invidiare ai suoi concorrenti.

Il merito di questo successo va attribuito innanzitutto all’idea di partenza. Philip (Matthew Rhys) ed Elizabeth (Keri Russell) Jennings sono una coppia affiatata che incarna a tutto tondo l’american way of life: gestiscono un’agenzia di viaggi, sono genitori di Paige (Holly Taylor) ed Henry (Keidrich Sellati) e sono ben integrati nella comunità della loro città, Washington. Una famiglia normale se non fosse per il fatto che i veri nomi dei coniugi Jennings sono Mikhail e Nadezdha, sono delle spie sovietiche e hanno creato la loro famiglia solo per avere una copertura credibile. Sono gli anni 80, la Guerra Fredda è nel pieno del suo svolgimento e i nemici da seguire, intercettare e (parecchie volte) da eliminare sono tanti ma, proprio quando tutto sembra filare liscio, ecco che nella casa aldilà della strada si trasferisce nientemeno che un agente dell’FBI (Stan Beeman, interpretato da Noah Emmerich). La situazione si complica, i Jennings sono sempre più alle strette e le richieste provenienti dalla madrepatria Russia diventano più difficili da sopportare.
Impossibile ignorare l’appeal che una trama del genere può creare attorno a sé, incrementato dal fatto che Joe Wiseberg (uno dei creatori) ha alle spalle una carriera all’interno della CIA, esperienza che dona credibilità alle situazioni messe in scena anche laddove queste siano semplicemente frutto di fantasia.
Ma The Americans, iniziata come una classica spy story, nel corso delle stagioni ha rivelato la sua anima più intima, emozionale e drammatica, il tutto grazie alla riuscitissima costruzione dei suoi main characters.

Philip ed Elizabeth ci sono stati presentati come delle macchine da guerra con una missione da portare a termine. Obbligati a convivere con ideali totalmente contrari al loro credo, i due hanno da subito mostrato una fedeltà alla patria difficile da scalfire. Tuttavia, per quanto abbiano sempre posto la Causa al di sopra di ogni cosa, ben presto i coniugi si sono ritrovati a combattere contro delle forze a cui nessun addestramento del KGB poteva prepararli: l’amicizia, l’amore e l’indipendenza.
I Jennings hanno provato sulla loro pelle che nessun uomo è un’isola, e così quelli che dapprima erano solo rapporti costruiti ad hoc iniziano a diventare sempre più reali ed importanti (tanto che i due decidono di celebrare il loro matrimonio anche con il rito ortodosso) ponendo Philip ed Elizabeth in bilico tra il desiderio di essere degli impeccabili agenti segreti e quello di essere dei bravi genitori, degli amici onesti o più semplicemente delle persone con la possibilità di vivere la vita che vogliono, come vogliono.

Il fardello di bugie costruito inizia ad essere troppo pesante e soprattutto Philip comincia a mettere in discussione tutto ciò per cui ha lottato negli ultimi anni. Forse l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti possono farsi la guerra da soli, non hanno bisogno di lui. E infatti, all’inizio della sesta ed ultima stagione troviamo il nostro protagonista assorto unicamente nella gestione della sua agenzia, modello del self made man con l’obiettivo di mandare al college i figli. Il suo allontanamento dalla Causa però crea una rottura anche nel rapporto con la moglie; i due che avevano imparato ad amarsi, adesso sembrano percorrere due strade parallele. Elizabeth infatti è sempre più coinvolta nel suo lavoro, soprattutto adesso che Gorbachev è alla guida dell’Unione e la Perestrojka è in corso. Tra i due, Elizabeth è sempre stata la più inflessibile e se Philip ha spesso dimostrato di non disdegnare la vita di agi del capitalismo, la donna non ha mai perso occasione di dar voce al suo disprezzo verso tutto ciò che rappresenta l’America. Ecco che allora la sesta stagione è costituita da un alternarsi di scene di azione e di lunghi silenzi, di parole non dette nascoste dietro gli sguardi di chi sa che tutto il suo mondo sta crollando.

Senza fare spoiler, non possiamo esimerci dall’elogiare il lavoro fatto con l’ultimo capitolo di The Americans, che dopo sei stagioni riesce come non mai a far trasparire in ogni fotogramma la tensione e la disperazione che coinvolge i suoi personaggi. Dai principali ai comprimari (tra cui hanno spiccato negli anni Margot Martindale e Frank Langella), tutti gli attori presenti sul set hanno regalato interpretazioni potentissime, confluite nell’episodio conclusivo che non è solo il più bello dell’intera serie, ma rientra a pieno titolo in uno dei finali più belli di sempre (accompagnato dalla straziante colonna sonora che include Brothers in Arms dei Dire Straits e With or Without You degli U2).

Nella speranza che agli Emmy cotanta bellezza non venga per l’ennesima volta snobbata (in particolare la performance di Matthew Rhys), seppur dispiaciuti di non rivedere più la famiglia Jennings, non possiamo fare altro che ringraziare The Americans per il grande spettacolo che ci ha regalato, ricordando sempre che “All’s fair in love and cold war”.

di Marta Nozza Bielli per DailyMood.it

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