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Picnic at Hanging Rock. Dal libro alla miniserie, qualcosa è andato storto

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Quando si parla di remake nessun film del passato può sentirsi al sicuro. Che si tratti di grande o piccolo schermo, la brama dei produttori di attirare una fetta di pubblico sempre più ampia puntando sull’effetto nostalgia fa sì che le storie vengano ripescate, rimodernate quel tanto che basta da non sembrare una copia identica all’originale e date in pasto agli spettatori.

Per parlare di Picnic at Hanging Rock, la miniserie andata in onda in sei episodi a partire dal 5 giugno su Sky Atlantic, bisogna partire da lontano. Era il 1967 quando la scrittrice australiana Joan Lindsay pubblicò il suo romanzo (Picnic at Hangig Rock appunto) in cui raccontava della sparizione misteriosa di tre studentesse del collegio Appleyard e della loro insegnante durante il giorno di San Valentino nei primi anni del ‘900. Nonostante l’autrice avesse più volte dichiarato che il racconto fosse totalmente di fantasia, attorno alla storia si sviluppò un vero e proprio culto, fomentato non solo dalle superstizioni aborigene secondo cui la formazione rocciosa poco lontana da Melbourne fosse infestata da energie sinistre ma anche dalla decisione dell’editore del romanzo di eliminare l’ultimo capitolo contenente la risoluzione del caso. Le ultime pagine vennero pubblicate nel piccolo volume dal titolo The secret of Hanging Rock solo nel 1987, dopo la morte della Lindsay come da lei promesso.

Ancor prima che l’enigma venisse risolto, Peter Weir nel 1975 decise di dirigerne l’adattamento cinematografico; il film (uscito in Italia con il sottotitolo Il lungo pomeriggio della morte) oltre che lanciare definitivamente la carriera del regista a livello mondiale (dirigerà fra gli altri L’attimo Fuggente e The Truman Show) è riuscito a riportare tramite le immagini le atmosfere del romanzo, dando vita ad un’estetica che in tempi recenti è stata ripresa più volte soprattutto da Sofia Coppola. Non è difficile infatti riconoscere tra i fotogrammi de Il giardino delle vergini suicide o de L’inganno quella miscela incantevole ma allo stesso tempo quasi nefasta fatta di lunghi vestiti bianchi, luci accecanti e gruppi di ragazze che nascondono dietro i loro sorrisi innocenti il desiderio irrefrenabile di evadere. L’aurea di mistero di Picnic at Hanging Rock infatti è racchiusa nei suoi personaggi e nei suoi scenari più che nella scomparsa delle sue protagoniste. Tutto è etereo, impalpabile, come in un sogno.

Un successo di oltre trent’anni non poteva esimersi dalla logica del “ripescaggio” e così FremantleMedia Australia ha pensato bene di adattare nuovamente – questa volta per il piccolo schermo – il romanzo con una miniserie, il format più gettonato dell’ultimo periodo. Ma se un romanzo di circa 300 pagine è stato perfettamente trasposto in una pellicola di due ore, dedicargli addirittura sei episodi non rischia di essere eccessivo? La risposta è semplice: la versione televisiva di Picnic at Hanging Rock annoia, a morte.
Il pilot lasciava intravedere le migliori intenzioni da parte degli sceneggiatori, i quali hanno deciso di sfruttare il maggior minutaggio a disposizione creando un contesto narrativo molto più ampio che va oltre il racconto della misteriosa sparizione delle studentesse e delle indagini per risolvere il caso e concede maggior spazio ai protagonisti e alle loro vite personali.
Già nel prologo si parte con l’introduzione di Mrs. Appleyard (impersonata da Natalie Dormer, famosa al grande pubblico per il ruolo di Margaery Tyrell in Game of Thrones), una signora borghese arrivata dall’Inghilterra in seguito alla morte del marito. La donna è molto più giovane rispetto a quanto descritto in origine dalla Lindsay e gli autori, per sfruttare il carisma della Dormer, ne arricchiscono il background lasciando intendere attraverso una serie di brevissimi flashback che la donna stia nascondendo la sua vera identità.
Al pubblico viene inoltre concessa la possibilità di conoscere meglio anche le ragazze scomparse: la bellissima e invidiata Irma (Samara Weaving), la timida Marion (Madeleine Madden) e l’irriverente Miranda (Lily Sullivan) formano un trio unito da una forte complicità e insieme cercano di sopravvivere alle rigide regole del collegio che limitano la loro curiosità di scoprire cosa le aspetta nel mondo. Il dualismo tra chiusura e libertà è ben rappresentato anche visivamente dagli ambienti che fanno da sfondo alla vicenda, con la scuola Appleyard in rappresentanza dell’interdizione e la natura incontaminata dell’Australia come sinonimo di libertà e questa contrapposizione funziona all’interno della miniserie, unita anche ad una musica e uno stile registico estranianti che ben delineano l’atmosfera straniante che aleggia attorno alla montagna “maledetta”. Seppur l’approfondimento dei personaggi risulti azzeccato per un adattamento televisivo in più episodi, le storyline aggiuntive non incuriosiscono a tal punto da continuare la visione con vivo interesse. Anche la scomparsa delle ragazze, oltre che una risoluzione sbrigativa legata al paranormale prevedibile ma non soddisfacente, non riesce a coinvolgere a causa di eccessive interruzioni nel racconto che rallentano il ritmo all’estremo.

Forse la miniserie andrebbe vista tutta d’un fiato e non a cadenza settimanale, o forse a cinquant’anni dalla pubblicazione del romanzo il mistero di Picnic at Hanging Rock non incuriosisce più. È certo però che non avevamo bisogno di un nuovo adattamento. Lasciate a Peter Weir ciò che è di Peter Weir.

di Marta Nozza Bielli per DailyMood.it

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