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Jurassic World – Il Regno Distrutto

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Non avevo mai dato grande importanza al mondo di Jurassic Park. Quando era uscito il primo capitolo, quello firmato da Spielberg, l’avevo un po’ snobbato: avevo vent’anni, amavo un altro tipo di film, i dinosauri non mi facevano un grande effetto, e avevo una certa antipatia per quelle pellicole “da vedere a tutti i costi”. Ora che è arrivato sui nostri schermi questo Jurassic World: Il regno distrutto – quinto episodio della franchise e secondo film della nuova trilogia iniziata con Jurassic World nel 2015 – sto riconsiderando un po’ tutto. Perché Jurassic World, il film di Colin Trevorrow, un po’ sequel e un po’ reboot di Jurassic Park, alla fine è stato il quinto incasso di sempre nel mondo. E poi perché, qualche mese fa, intervistando un giovane regista su come fosse nata la sua passione per il cinema, ho capito che, per lui come per molti, fosse partita proprio da quel film di Spielberg. Quel regista, da ragazzino, costrinse genitori e nonni a portarlo e riportarlo al cinema a vedere, all’infinito, quei dinosauri più spaventosi. Qualcosa tutto queste deve pur voler dire.

E la chiave per seguire un film come Jurassic World: Il regno distrutto è proprio quella di tornare bambini (attenzione: non piccolissimi, però), cosa che, ora che sono un papà, mi viene più facile che a vent’anni. È provare a restare stupiti per la visione dei dinosauri, creature che non potremo mai vedere dal vivo, e che una magia come quella del cinema ci può aiutare a far rivivere. Juan Antoino Bayona (The Orphanage), il regista spagnolo chiamato a dirigere questo nuovo episodio ci aiuta, mettendo una bambina (la nipote del magnate Benjamin Lockwood) al centro della storia e provando, seppur a tratti, a farci vedere queste enormi creature con i suoi occhi. Gli altri occhi con cui seguiamo la storia sono quelli dei protagonisti di Jurassic World, Owen Grady (Chris Pratt) e Claire Dearing (Bryce Dallas Howard), che si erano incontrati, innamorati (nel film precedente) e poi lasciati (lo abbiamo appreso all’inizio di questo film). La storia è questa: Isla Nubar, la lussureggiante isola scelta per far sorgere il parco, è ormai totalmente in preda ai dinosauri: ma una calamità naturale rischia di spazzarli via, con una nuova, dolorosa, estinzione. Tutto questo mentre si accende un dibattito: lasciar morire i dinosauri, perché è il loro destino, e perché comunque li abbiamo ricreati noi, o salvarli, perché sono dei preziosi, unici, esseri viventi? Viene così organizzata una spedizione sull’isola. Ma i fini di chi la finanzia non sono proprio i più nobili…

Storie già viste. Quando vediamo le creature ingabbiate e portate sulle navi cargo non possiamo non pensare immediatamente a King Kong. Così come abbiamo già visto gli uomini d’affari pronti a tutto solo per il proprio profitto. Però Bayona ha una buona mano per girare alcune scene cariche di tensione e suspance, che si alternano, va detto, ad altre scene molto lunghe e noiose. La chimica tra Chris Pratt e Bryce Dallas Howard funziona, tra una tensione sessuale evidente e battute divertenti che allentano la tensione del film. C’è, qua e là, poi, un certo gusto per l’horror e per il gotico che Bayona aveva già dimostrato in The Orphanage e che riporta in scena, soprattutto nelle scene in città, e nella camera della bambina.

Ma la novità del film sembra una certa empatia nei confronti delle creature. Vedere Blue, il velociraptor che obbedisce e interagisce con gli umani perché riconosce chi lo ha addestrato e cresciuto, nelle scene in cui era un cucciolo, aiuta di certo a considerarlo un essere vivente, e non un mostro, un pericolo, come i dinosauri sono stati in gran parte dei film visti fin qui. La passione con cui la piccola protagonista del film li vede aiuta ulteriormente. Ma per tutto il film, dall’inizio in cui sono in pericolo per l’eruzione vulcanica, fino al finale, c’è nei loro confronti una visione animalista: ci sono delle persone che le considerano esseri viventi, con il diritto di sopravvivere. E, per come finisce il film, sarà molto interessante vedere il prossimo.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

 

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