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Solo: A Star Wars Story. Di Han Solo ce n’è uno, tutti gli altri…

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Ragazzi, inutile girarci intorno, fare i colti, i cinefili, gli snob. Davanti a un film di Star Wars molti di noi (non tutti, certo) sono come dei bambini davanti all’albero di Natale, mentre stanno per scartare il pacchetto più grande, il regalo che hanno aspettato tutto l’anno. I film di Star Wars sono stati i nostri giocattoli quando eravamo piccoli. E, visto che non siamo cresciuti affatto, ogni volta è come se fosse Natale. Avevamo tre grossi giochi (la trilogia originale). Poi ne abbiamo avuti altri tre (la trilogia prequel). Poi il negozio di giocattoli è stato preso in mano dalla Disney (che, non a caso, di giocattoli se ne intende) e abbiamo capito che ogni due anni avremmo avuto altri tre balocchi nuovi fiammanti (gli episodi VII, VIII e IX). E poi dei giocattolini, forse minori, che però, essendo inaspettati, possono essere molto graditi. Sono le Star Wars Story, sidequel della saga principale: dopo Rogue One, ecco arrivare l’atteso Solo: A Star Wars Story, racconto della vita del giovane Han Solo, presentato fuori concorso a Cannes, e in arrivo nelle nostre sale dal 23 maggio.

Il film inizia con due giovani in fuga. Sono Han e Qi’ra, si conoscono fin da piccoli, sono amici, forse qualcosa di più. Stanno per superare una frontiera, ma sono senza documenti. Provano a passare corrompendo la guardia: ma lei viene catturata, e lui scappa da solo. Vuole fare il pilota, vuole volare. Si arruola nell’esercito (sì, è quello dell’Impero) e, al momento di dare il nome e il cognome, dice: mi chiamo Han. E non ho famiglia, sono solo. Ecco il nome: Han Solo. La vita militare non sarà quello che si aspetta. E proverà a trovare la sua strada al di fuori della legge, in una partita a scacchi tra l’Impero, l’Alba Cremisi, misteriosa organizzazione, e altre fazioni di Pirati. Ritroverà Qi’ra, ma sarà cambiata. Molto cambiata.

Ma che cos’è una Star Wars Story? È, appunto, un sidequel, una storia che non prosegue la cronologia dei film della saga, ma va a infilarsi in degli spazi temporali che non sono “coperti” dal racconto, punta su personaggi e sviluppi che sono rimasti inesplorati, backstory che sono state solo accennate. Se Rogue One andava a posizionarsi tra l’Episodio III e il IV, ma immediatamente prima del IV, con il furto dei piani della morte nera, Solo – A Star Wars Story si svolge prima dell’Episodio IV, ma parecchi anni prima: se in Una nuova speranza (che è il film che tutti conoscevamo come Guerre stellari, il primo) Han è un uomo, qui è ancora un ragazzo. Nelle Star Wars Story non si segue la famiglia Skywalker, e non ci sono spade laser (al massimo un pugnale). Qui, a differenza di Rogue One, non si parla neanche di Forza e di Jedi.

Le Star War Story contaminano la fantascienza con altri generi cinematografici. Rogue One era un war movie, dichiaratamente ispirato ad Apocalypse Now. Solo: A Star Wars Story è più “sfaccettato”, se vogliamo vederla in questo modo: parte come un film di guerra (ma le atmosfere, più che il Vietnam, ricordano la Prima Guerra Mondiale), diventa una sorta di western (con uno dei topoi del genere, l’assalto al treno), passa per un film di pirati o un heist-movie, ma è soprattutto una rilettura dei film di avventura anni Quaranta, quelli che sono stati l’ispirazione di Indiana Jones: d’altra parte, oltre ad avere in comune lo stesso attore, Harrison Ford, le due saghe sono state create dalla stessa mente, quella di George Lucas (anche se Indy è stato poi diretto da Spielberg).

Già, Harrison Ford. Uno dei punti critici di Solo: A Star Wars Story è proprio lui. Han Solo da giovane è impersonato da Alden Ehrenreich, che, gli va dato atto ci prova. Prova a replicare, copiare Harrison Ford, facendo ampio sfoggio di sorrisi, a volte a bocca chiusa, a volte a trentadue denti. Ma replicare Harrison Ford è impossibile, a meno che non si sia Harrison Ford. Quei suoi mezzi sorrisi, quella bocca un po’ storta, quell’espressione tra la risata e la smorfia sono effettivamente irripetibili. Ma un lavoro maggiore andava fatto, forse dall’attore, forse già a livello di casting. Fatto sta che, guardando Ehrenreich, non si ha mai l’impressione di assistere alle gesta di Han Solo, seppur da giovane. Sembra un qualunque personaggio. Complice anche una scrittura che manca di profondità, il film mette in scena una serie di eventi, ma non riesce davvero a dirci chi era Han Solo. Cosa lo ha fatto cambiare, forse sì: e in questo è importante, oltre che ben costruito, il personaggio di Qi’ra (un’intrigante Emilia Clarke), il primo amore di Han, molto prima che arrivasse Leia. Qi’ra è quella che rende Han quello che poi è diventato, ed è il personaggio che rivela la sua natura di grande romantico, dietro la scorza dura che mostra in superficie. Il cast è interessante: attorno ai due protagonisti si muovono Donald Glover nei panni di Lando Calrissian (così riuscito che il prossimo spin-off potrebbe essere su di lui), Thandie Newton, Paul Bettany e Woody Harrelson.

Ma Solo: A Star Wars Story è da vedere o no? Se non siete fan di Star Wars, potrebbe sembrarvi un normale film d’azione, con una serie di personaggi e riferimenti che non vi direbbero niente. Nonostante due grandi scene d’azione, all’inizio e alla fine, è un film che non emoziona molto. Manca l’epica, la passione tipica dell’universo Star Wars. Il cambio in corsa del regista (dal duo Phil Lord e Christopher Miller a Ron Howard) probabilmente non ha giovato. Se siete fan, e non vi aspettate un capolavoro, forse ne vale la pena. Perché vedere il Millennium Falcon, o come Han e Chewbecca si siano conosciuti, potrebbe catturare il vostro interesse. Tornando al discorso di prima: se, come un bambino, volete un gioco, che non è il più bello di tutti, ma sta bene nel vostro mondo di giocattoli, allora il film va visto. Per un bambino, un film in cui Chewbecca è in scena per la quasi totalità, è una gran bella cosa…

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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