Cine Mood

La forma dell’acqua. Il mostro non fa paura. L’America sì

Published

on

Guillermo Del Toro da bambino aveva paura dell’Inferno a causa delle storie che gli raccontava la nonna, che era una fervente cattolica. Già allora, il piccolo Guillermo collezionava mostri. Non ne aveva paura, probabilmente. Certo, non più dell’Inferno. Una volta diventato grande, ha cominciato a fare il make up designer perché nessuno realizzava quello che aveva in mente. Anche per La forma dell’acqua, il suo ultimo film, Leone d’Oro a Venezia, Golden Globe per la miglior regia e colonna sonora originale, e candidato a 13 Oscar (nelle nostre sale dal 14 febbraio), il regista messicano ha fatto un grande lavoro in questo senso: ha speso due lunghi anni tra bozzetti, storyboard, modellini e statue per spiegare al meglio quello che avrebbe dovuto essere il protagonista. È una creatura anfibia, simile a quella de Il mostro della laguna nera, che viene portata di nascosto in un segretissimo laboratorio governativo. Siamo negli anni Cinquanta, in piena Guerra Fredda. E quel mostro sembra avere delle caratteristiche che potrebbero essere utili per fini bellici e tecnologici. Gli americani lo hanno catturato, ma lo tengono d’occhio anche i sovietici. In quel laboratorio, però, fa le pulizie Elisa (Sally Hawkins), che è muta, ma con gli occhi e con il cuore si fa capire benissimo. Tra lei e il “mostro” si crea un legame molto particolare. Un po’ come accade ne La bella e la bestia, come hanno notato in molti.

La situazione è quella di un B movie degli anni Cinquanta. Ma è calata dentro un altro mondo. Il mondo di Del Toro, sicuramente. Ma anche il mondo del cinema. È come se Guillermo Del Toro, dopo una serie di progetti su commissione (è adorato da Hollywood proprio per come sa trattare creature, mostri e robot) come Pacific Rim, Crimson Peak, addirittura la consulenza per un film d’animazione Dreamworks come Megamind, abbia voluto finalmente fare il “suo” film. E metterci dentro tutto quello che ama e tutto quello che sente in questo momento. Quello che ama è il cinema. A partire da quel mostro della laguna, certo. Ma ogni scena de La forma dell’acqua trasuda amore per la Settima Arte, e il film danza continuamente tra un genere e l’altro. È un horror, uno sci-fi movie, una spy-story, un musical. E soprattutto una storia d’amore. La scelta di mettere la casa della protagonista sopra un cinema, come la televisione accesa in casa del vicino, è l’occasione per citare continuamente film come Mardi Gras, The Story Of Ruth, 1001 Arabian Nights, That Night in Rio, Little Colonel…

Opposto al precedente, tenebroso Crimson Peak, La forma dell’acqua è un dolce, soave, spensierato sogno. C’è dentro l’horror, ma è declinato sui toni di una favola: la musica di Alexandre Desplat sembra andare in quella direzione. E poi c’è il mostro. Nei film i mostri sono stati mostrati in molti modi, ma mai in maniera così audace: Del Toro lo fa ballare, lo fa fare l’amore. Il tocco di Del Toro, l’empatia con le sue creature sta tutta qui: riuscire a fare tutto questo senza sfiorare mai il ridicolo. Il maestro messicano prova addirittura a rendere sexy il suo mostro: addominali e pettorali scolpiti, spalle larghe, e una certa dolcezza nel volto. Il regista ha raccontato di aver chiesto dei pareri sull’aspetto fisico dell’anfibio alla moglie e alle figlie, perché doveva essere qualcuno di cui le donne potessero innamorarsi. E così anche Sally Hawkins non è mai stata bella come in questo film. Oltre che espressiva: Del Toro le ha fatto vedere i film dei grandi maestri del muto per farle esprimere i suoi sentimenti senza alcuna parola, come il personaggio richiedeva. Accanto a lei ci sono un bravissimo Richard Jenkins, il vicino Giles, ancora una volta alle prese con un “ospite inatteso”, Michael Shannon, che presta ancora la sua lucida follia, Michael Stuhlbarg, in un ruolo ricco di sfumature, e decisivo nello sviluppo della trama, e Octavia Spencer, empatica spalla della protagonista.

Ma i toni da favola non nascondono del tutto quello che c’è dentro. Nelle violenze e nelle torture al mostro, accennate, certo, ma ben visibili, ci sono tutte le storture degli ultimi controversi anni di storia americana, da Guantanamo alla chiusura ai muri di Trump. In questo senso Del Toro, come accadeva con Il labirinto del fauno, anch’esso ambientato nel passato per raccontare il presente, ha messo tutto se stesso nel film. E non rimaniamo sorpresi che un messicano, seppur americano d’adozione, possa lanciare un messaggio simile. Se da bambino aveva paura dell’Inferno, oggi Guillermo Del Toro, probabilmente, ha ben altre cose che gli fanno paura.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

 

0 Users (0 voti)
Criterion 10
What people say... Leave your rating
Ordina per:

Sii il primo a lasciare una recensione.

Verificato
{{{ review.rating_title }}}
{{{review.rating_comment | nl2br}}}

Di Più
{{ pageNumber+1 }}
Leave your rating

Il tuo browser non supporta il caricamento delle immagini. Scegline uno più moderno.

Click to comment

Trending