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Nico, 1988. Dimenticate la femme fatale di Lou Reed

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And what costumes shall the poor girl wear?”. E quale abito indosserà la povera fanciulla?, canta Nico in All Tomorrow’s Parties, tratta dal disco immortale The Velvet Underground & Nico. Canta questi versi anche Trine Dyrholm in Nico, 1988, il film di Susanna Nicchiarelli vincitore di Orizzonti a Venezia che esce nelle nostre sale il 12 ottobre. E tra le tante parole che scorrono sullo schermo, tratte dalle sue canzoni, queste sembrano introdurre bene la sua storia. Quella che vediamo in Nico, 1988 è una Nico che si è spogliata dei suoi abiti noti, come di tutta la sua immagine iconica e della sua bellezza, per provare a ritrovare se stessa. “Siamo qui con la femme fatale di Lou Reed”: la introduce così uno speaker radiofonico prima di un’intervista. “Non chiamarmi così, non mi piace” risponde lei. Che ora, siamo nel 1986, vuole essere semplicemente Christa Paffgen. Priva di ogni aspetto fashion, anche dei suoi famosi capelli biondi. Ora sono di un nero corvino, il volto e il corpo sono appesantiti. Gli occhi blu sono carichi di dolore. Christa gira l’Europa in tour con una band improvvisata, e cerca di riannodare il rapporto con Ari, il figlio adolescente.
Quella che era stata la musa di Andy Warhol (ma anche di Fellini, che la volle ne La dolce vita), di Lou Reed, che inizialmente non la voleva nei Velvet Underground ma scrisse per lei Femme Fatale, di Bob Dylan, che le dedicò Visions Of Johanna, sta ormai vivendo la sua second life. Le immagini del suo passato, della New York degli anni Sessanta – di repertorio o ricostruite – appaiono brevemente e sono sempre sfocate. Christa/Nico si muove tra le rovine dell’Europa di fine anni Ottanta, luoghi vuoti e desolati come lei. Ex scuole abbandonate oltre la cortina di ferro, piazze di piccoli paesi in Italia, pub o sudici club in Gran Bretagna. “Sono stata in cima. Sono stata in fondo. Entrambi i posti sono vuoti” dice a un amico, facendo intendere che vorrebbe chiudere con la musica. Eppure la Nico meno nota, quella ragazza a cui Jim Morrison consigliò di scrivere i suoi sogni, ne ha di cose da dire. La sua è una musica cupa, in qualche modo ancora vicina a quella dei Velvet Underground, soprattutto all’anima di John Cale, che ha prodotto alcuni suoi dischi. In scena suona l’armonium, e sul palco c’è una violinista accanto al solito ensemble chitarra, basso, batteria. Nella sua musica c’è il rock, il folk dell’Europa dell’est, l’avanguardia. È una musica oscura che scuote le viscere. Per le nuove generazioni Nico è la “sacerdotessa delle tenebre” ed è un punto di riferimento del movimento dark e new wave. Nel film ascoltiamo le canzoni di Nico riarrangiate dalla band Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo e cantate dalla stessa Trine Dyrholm.
Susanna Nicchiarelli, che qui firma il suo film migliore, si conferma molto interessata a legare i fili che uniscono presente e passato. Se Cosmonauta era un viaggio negli anni Sessanta, la storia di una ragazzina cresciuta con i miti del Comunismo e della corsa russa allo spazio, e La scoperta dell’alba un dialogo tra una donna di oggi e se stessa da bambina, anche Nico, 1988 è la storia di una donna che deve fare continuamente i conti con il proprio passato per poter vivere il proprio presente e poter essere la persona che è in questo momento. Del passato le resta addosso quell’immagine iconica – il corpo slanciato, i lunghi e lisci capelli biondi, i tratti perfetti – la voce fredda e spigolosa e quel disco leggendario in cui, come dice lei, “suonavo solo tre canzoni, poi stavo dietro a suonare il tamburello”. E le resta un figlio, Ari, nato nel 1962 dalla relazione con Alain Delon, non riconosciuto dal padre, ma adottato dalla madre di lui. È dal dialogo tra passato e presente che nasce la Nico degli anni Ottanta. Che, appena ritrovata se stessa, perderà la vita, il 18 luglio del 1988, per un’incidente in bicicletta. Susanna Nicchiarelli ce la racconta provando a ricreare le luci e le immagini di fine anni Ottanta, il formato quadrato, la bassa definizione del supporto analogico. E creando sequenze di grande cinema, come in quella della Luminatia, a Praga, una veglia nella notte dei morti a lume di candela, sulle note di Big In Japan, in cui Nico ha oscuri presagi di morte.
Nico, 1988 è un film straordinario non solo per come racconta la seconda vita di una donna. Ma anche per come racconta il rock dopo che le luci del palco si spengono, dopo che il pubblico se ne va, e sul pavimento restano solo cocci, bottiglie vuote e sporcizia. È la storia di un’Europa ancora scossa dalla guerra. Nico/Christa gira con un registratore cercando di ritrovare un suono che sentiva da bambina, quello di Berlino che brucia, che cade sotto le bombe. Ricerca il suono della sconfitta. Nico, 1988 è la storia di una sconfitta, di una rinascita, di una presa di coscienza di sé.

di Maurizio Ermisino per DailyMood

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