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House of Cards 5. Chi è il nemico di Frank Underwood?

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Chi è il vero nemico di Frank Underwood? La moglie Claire, che all’inizio della stagione è ormai candidata vicepresidente? Il giornalista Tom Hammerschmidt, che sta indagando sui suoi scheletri nell’armadio? O Will Conway, il giovane e aitante candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti? Forse tutti, o forse nessuno. Forse il vero pericolo per Frank Underwood, protagonista assoluto di House Of Cards, in questa stagione 5, si chiama Donald Trump. Il vero Presidente degli Stati Uniti ha portato la politica verso la spettacolarizzazione assoluta, verso l’imprevedibilità, verso una serie di svolte così clamorose che, come spesso accade oggi, la realtà rischia di superare la finzione. E una serie come House Of Cards rischia di trovarsi a rincorrerla. È chiaro che, visti i tempi di produzione, la serie probabilmente è stata scritta (nel ruolo di showrunner Beau Willimon è stato sostituito da Frank Pugliese e Melissa James Gibson) e girata prima dell’avvento di Donald Trump. E rischia di uscire in uno scenario ormai mutato rispetto a quello in cui era abituata a muoversi.

La Stagione 5 inizia con Frank Underwood (Kevin Spacey) e la moglie Claire (Robin Wright), candidata vicepresidente, alle prese con due fronti su cui combattere: c’è quello interno, e la sfida per la presidenza con il repubblicano Will Conway (Joel Kinnaman), e c’è quello “esterno”, uno stato islamico, l’ICO, che ricorda molto l’ISIS. Sul fronte esterno, poi, ci sono ancora forti tensioni, come nella serie precedente, con il presidente russo Viktor Petrov (Lars Mikkelsen). Ma tutto questo è solo l’inizio. Da quando la serie ha preso una vita propria discostandosi da quella originale (House Of Cards nasce da una serie della BBC del 1990, tratta dal libro di Michael Dobbs, ex membro del partito conservatore inglese), con l’ascesa di Underwood a presidente, si è passati da una storia di intrighi all’interno del congresso a quelli elettorali e di politica internazionale. Dalla terza stagione si è cominciato ad avvicinarsi sempre più alla realtà: le tensioni con la Russia di Petrov, che riprendono quelle con Putin, l’ICO, immaginario stato islamico, ispirato dichiaratamente all’ISIS, il dissidente informatico Aidan Macallan, che riprende il caso di Ed Snowden. Resta da vedere se nella prossima stagione House Of Cards vorrà continuare ad inseguire la realtà. Perché, nel caso, le cose sono cambiate: il nuovo presidente Trump sembra andare molto d’accordo con Putin. E perché i nodi politici sono altri: il protezionismo dell’economia, la chiusura verso gli immigrati, vedi i muri da costruire ai confini con il Messico. Vedremo se il nuovo scenario influenzerà, e come, la scrittura della serie.

Se le ultime stagioni di House Of Cards guardano all’attualità, c’è una delle linee seguite dagli Underwood, che raccontano il passato recente degli Stati Uniti. Se la paura è stata una delle chiavi della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali (e, nella prima puntata di questa stagione, il discorso di Underwood su un paese “chiuso” fa pensare a lui), tutto il discorso sul terrore, sulle campagne elettorali basate sulla paura, lo stato perenne di guerra, il nemico esterno individuato per compattare il Paese al suo interno sono stati una delle chiavi della politica di George W. Bush. Che, in fondo, è quello che teorizzava Orwell in 1984: la guerra come metodo di controllo delle masse, per dirigere il malcontento, l’odio, la paura verso un nemico esterno. E per distrarre dalle vicende interne.

A proposito di nemici: è stato scritto che Frank Underwood non avrebbe avversari all’altezza. Non è vero: gli ostacoli che si frammettono tra lui e il potere sono molti, e nessuno da trascurare. Il punto è che il fatto che Frank riesca ad evitarli tutti è lo schema narrativo della serie. Ma, in questo senso, aspettate di vedere l’ultima scena della stagione… Così come il fatto di parteggiare per lui, nonostante sia un personaggio palesemente negativo e disonesto, fa parte del gioco: lo facciamo perché è il motore della storia, perché sceglie – e solo a noi, rivolgendosi direttamente al pubblico guardando in macchina – di svelarci i retroscena del potere. È un nostro complice. Qualcosa di simile accade con il Leo Notte di Stefano Accorsi in 1993. In questo senso la Stagione 5 osa di più: come nella scena dell’episodio 2, ripetuta anche nell’episodio 12, in cui, in una riunione, Frank ferma la scena, e gira a lungo, parlando a noi, tra una serie di personaggi immobili, come se avesse fermato il tempo. E, per un attimo, nell’episodio 11, anche Claire si rivolge a noi, per la prima volta. Ma ci fa capire subito che non le interessiamo. È un’espediente che mostra la natura per alcuni aspetti teatrale di House Of Cards, una messinscena che in alcuni momenti sfida le regole della realtà. Non a caso, abbiamo sempre sostenuto che uno dei numi tutelari della serie è William Shakespeare. E allora tutto il set di House Of Cards non è altro che un grande palcoscenico in cui ci sono in scena due mattatori, due grandi attori che mettono in scena due grandi personaggi shakespeariani. E Shakespeare torna prepotentemente in scena negli ultimi quattro episodi della stagione dove, messi da parte i problemi di terrorismo ed elezioni, l’attenzione torna a concentrarsi in quegli intrighi di potere, a quei tradimenti, quelle trame che si ordiscono nel buio delle stanze del potere. Coltellate degne di un Giulio Cesare, amanti e amici fraterni sacrificati senza pietà e senza dubbi, in nome dell’unica cosa che conta: il trono, il regno, il potere. E che ci regalano il Frank Underwood delle prime stagioni, quello più perfido e immorale. Come la stagione 4, anche la 5 cambia spesso l’obiettivo, il pericolo su cui devono concentrarsi gli Underwood. È come se, a due terzi della storia, ci sia una virata decisa. Come se la stagione successiva inizi prima, nelle ultime puntate di questa, per poi lasciarci in sospeso, con un cliffhanger in grado di farci desiderare di più la prossima stagione.

Così, se questa stagione apparentemente punta meno sul sesso, avendo già tolto dalla scena tutte le presenze più sexy, dalla Zoe Barnes di Kate Mara alla Jackie Sharp di Molly Parker, alla Rachel Posner di Rachel Broshanan, arriva a una svolta, che poi è un ritorno all’antico, a poche tappe dal traguardo. Se la Leann di Neve Campbell aveva fin qui un ruolo piuttosto casto, e la protagonista assoluta della serie, Claire Underwood, nel suo nuovo ruolo, era quasi una statua, una dea distante, le ultime puntate le rimettono in gioco, mettendo a nudo la loro indole, la loro anima, prima ancora che il loro corpo. Tutto questo mentre i confini della sessualità di Frank Underwood si sfumano sempre di più. Dal punto di vista visivo la regia tenta strade nuove, riprendendo a volte i protagonisti in campo lungo, come ombre inserite nelle enormi architetture delle stanze del potere, a creare inquadrature pittoriche. Le immagini degli schermi televisivi, più colorate e meno definite, si mescolano alle immagini ad alta definizione e cariche di ombre del racconto. Resta da capire che strada prenderà la prossima stagione di House Of Cards. Inseguire la realtà, e quindi fare i conti con l’era Trump, o addentrarsi nelle psicologie di Frank e Claire, e andare sempre più decisi verso una tragedia shakespeariana 2.0. Che vada in una o nell’altra direzione, il nostro Frank Underwood, nel suo monologo (questo sì, davvero teatrale) della penultima puntata in poche parole ha definito cos’è la politica oggi, a qualsiasi latitudine. “Benvenuti alla morte dell’era della ragione. Non esiste il bene o il male. Non più. Ormai esiste solo essere dentro. O essere fuori”.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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