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Michael Fassbender: il corpo diventa sintetico

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Nei film che lo hanno reso noto al grande pubblico, Hunger e Shame, Michael Fassbender, attore irlandese di origini tedesche, era stato innegabilmente corpo, carne e muscoli. Nel percorso che lo ha portato dal cinema d’autore al cinema hollywoodiano (seppur d’autore, è comunque diretto da Ridley Scott) per arrivare al recente Alien: Covenant, sequel di Prometheus e prequel della saga di Alien, Fassbender è ora diventato carne sintetica, corpo (e intelligenza) artificiale. Nel film di Scott, che segue di dieci anni le vicende di Prometheus, l’attore irlandese, in una gara di bravura con se stesso, ha un doppio ruolo. È David, il protagonista di Prometheus, e Walter, nuovo modello di androide che è parte dell’equipaggio della nave Covenant. L’evoluzione di Fassbender non ci appare casuale. I suoi tratti nobili, fieri, regolari, il suo portamento elegante lo rendono perfetto per interpretare il non umano, l’androide, il sintetico, sul grande schermo. E raccogliere l’eredità di quei ruoli che furono di Ian Holm (Alien), Lance Henriksen (Aliens – Scontro Finale e Alien 3) e di Winona Ryder (Alien – La clonazione).

Quei capelli che l’androide David si tingeva di biondo in Prometheus per somigliare al Peter O’Toole di Lawrence D’Arabia (ma lui dice di essersi ispirato anche a David Bowie ne L’uomo che cadde sulla Terra) sono diventati lunghi, come quelli di un Robinson Crusoe sintetico. David è stato dieci anni da solo sul pianeta degli “ingegneri” che aveva raggiunto. Quelli di Walter, l’altro androide, sono corti, e castani. Contegno contro follia. Dovere contro passione. Regolarità contro genio. Rispetto contro visionarietà. David e Walter sono le due facce della stessa medaglia, i due lati del rapporto tra uomo e macchina. Walter è l’aggiornamento di David. Un androide infallibile, a cui però non è permesso di creare. Un androide fedele all’uomo. David invece è imperfetto, fallibile (confonde Shelley con Byron), creativo ed emotivo. Walter è stato creato così perché l’uomo si è accorto della pericolosità di David, il modello precedente, che era in grado di prendersi troppe libertà. L’uomo ha corretto il tiro. Ma l’errore ormai è stato fatto. E l’androide David, lo scopriremo, ha un ruolo decisivo nella creazione dello xenomorfo che tutti conosciamo come Alien. Il David di Michael Fassbender è il trait d’union tra i due classici di Scott, Alien e Blade Runner, un androide che forse non “sogna pecore elettriche”, ma ha sogni di grandezza. E continua il discorso della fantascienza sulla pericolosità delle macchine per l’uomo, un discorso che va da 2001: Odissea nello spazio a Blade Runner, Terminator e Matrix.

La fallibilità (David) è umana. Ed era un errore molto umano quello che condannava il personaggio di Fassbender in Bastardi senza gloria, dove segnalare il numero tre con alcune dita invece di altre gli era fatale. L’autocontrollo (Walter) è tipico delle macchine. Ne ha create di bellissime, e rivoluzionarie, Steve Jobs, a cui Fassbender ha dato il volto nel film di Danny Boyle. Il suo Jobs è freddo e calcolatore come un computer, ma solo in superficie, dentro gli si muove un vulcano di emozioni. Che reciti solo con gli occhi e con movimenti impercettibili, che reciti con tutto il corpo, o che reciti anche senza il volto, coperto da una maschera di cartapesta in Frank, Fassbender riesce ad arrivarci al cuore, a far uscire l’anima di un personaggio.

È curioso che Fassbender, androide perfetto, sia legato sentimentalmente ad Alicia Wikander (conosciuta sul set de La luce sugli oceani, uno di quei film che verranno ricordati più per la nascita di un amore che per il suo valore intrinseco), colei che era stata una delle creature meccaniche più affascinanti e conturbanti in Ex Machina, ulteriore tassello nella nostra riflessione sull’intelligenza artificiale. Il suo personaggio era interessante perché riusciva a far innamorare, e allo stesso tempo ingannare. Due aspetti che forse sono la stessa cosa. Non a caso, innamorarsi in inglese si dice “fall in love”: cadere in amore. Come si cade in un tranello. L’amore di Alicia e Michael è invece vero, non è montatura né gossip. E la coppia è oggi una delle più ammirate, e solide, di Hollywood.

Attore e produttore (ha una sua casa di produzione, la Finn McCool Films), quarant’anni compiuti da poco (il 2 aprile), Fassbender ha iniziato a recitare con il metodo Stanislawski, ma oggi ha un suo metodo per affrontare i ruoli che interpreta, e per entrare ed uscire da un ruolo senza problemi. Ha iniziato con la serie tv Band Of Brothers, prodotta da Spielberg, e ha lavorato a una versione teatrale de Le iene, di Tarantino. Un nome che, evidentemente, era nel suo destino. Ha avuto una parte in 300 di Zach Snyder. Ma quello che lo ha reso famoso è stato il lavoro con il regista inglese Steve McQueen, Hunger e Shame (girerà con lui anche 12 anni schiavo): come scriviamo in apertura, questo attore che oggi sullo schermo è sempre più spesso un supereroe (Magneto nella saga X-Men), che sa essere glaciale e levigato, ha recitato con l’anima e – letteralmente – con il corpo. Per interpretare l’attivista irlandese Bobby Sands in Hunger, e per raccontare il suo sciopero della fame, è dimagrito di 18 chili. Il suo è stato un corpo deperito, martoriato. E poi abusato, in Shame, dove è lo strumento per la sua (in)soddisfazione sessuale, per raccontare una dipendenza che è poco nota, ma è pericolosa come le altre. L’unica dipendenza, se così si può dire, di Fassbender oggi è invece quella dal lavoro: sette film usciti negli ultimi due anni e due sui nostri schermi in questi giorni (oltre ad Alien: Covenant c’è anche Song To Song di Malick).

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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