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La La Land! Anzi no, Moonlight!

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And the Oscar goes to… La La Land”, annunciano con un po’ di indecisione Warren Beatty e Faye Dunaway. Ma non è vero. L’entusiasmo di Damien Chazelle & co. per la vittoria della statuetta più ambita, quella destinata al miglior film dell’anno, svanisce dopo pochi minuti. In realtà il vincitore è Moonlight di Barry Jenkins. A correggere il verdetto è stato proprio il produttore del musical con Ryan Gosling e Emma Stone, Jordan Horowitz, che, con l’Oscar in mano, ha chiamato sul palco i veri vincitori del premio. “Il mio cuore si è un po’ spezzato” – ha dichiarato a fine serata Horowitz – non so esattamente cosa sia successo, ma in qualche modo è stato letto il titolo del film sbagliato. E siamo saliti sul palco a ritirare il premio, e di colpo hanno trovato una busta che diceva ‘Moonlight’, ed è stato chiaro che ci fosse stato un errore. Ho voluto correggerlo, perché amo quei ragazzi. Sono diventati grandi amici nel corso degli ultimi due mesi, abbiamo condiviso questo viaggio“.
Non ci bastava quanto successo poco più di un anno fa a Miss Universo, quando Miss Colombia si vide incoronare come la più bella del mondo per poi passare lo scettro alla vera vincitrice della manifestazione, la rappresentante delle filippine. Ora, anche il mondo del cinema ha un grande epic fail da inserire nelle pagine della sua storia.

Warren, what did you do?!”, ha detto Jimmy Kimmel al malcapitato attore americano. Ma poco importa – verrebbe da dire – a contare è solo il risultato finale. Senza dubbio. Ma ciò non toglie che l’errore (indotto, è giusto sottolinearlo) nell’annuncio del vincitore, da parte dei “vecchi” Bonnie & Clyde, rimarrà a lungo impresso nella mente dei cinefili e non solo. Così, quella che si preannunciava come la cerimonia di Hollywood vs. Trump, è diventata l’edizione della più grande figuraccia della storia degli Academy Awards.

La gaffe finale ha infatti messo in secondo piano le critiche rivolte dalle star del cinema al neo presidente degli Stati Uniti. Critiche espresse con il solito sarcasmo da Jimmy Kimmel, che prima ha ringraziato Trump per aver reso, con la sua politica, meno razzisti gli Oscar (riferendosi ironicamente alla polemica “#OscarSoWhite della passata edizione), e poi lo ha punto con diverse frecciatine: l’ha preso in giro per l’ormai celebre riferimento ad un fantomatico attacco terroristico in Svezia (“siamo così dispiaciuti per quello che è successo”), gli ha destinato dei simpatici tweet in diretta (“Donald, sei sveglio?”) ed infine ha chiesto una standing ovation per la grande Meryl Streep, che il presidente aveva attaccato dopo le sue dichiarazioni ai Golden Globes.

L’iraniano Asghar Fahradi, vincitore del suo secondo Oscar per Il cliente, premiato come miglior film straniero, ha disertato la cerimonia per protesta contro il Muslim Ban: “La mia assenza è un atto di rispetto verso i miei concittadini e quelli di altri sei paesi che hanno subito una mancanza di rispetto per una legge che vieta l’ingresso di immigrati negli Usa” – ha dichiarato il regista, affidando le sue parole ad una astronauta del suo Paese. A rincarare la dose di critiche ci hanno pensato anche l’attore Gael Garcia Bernal (“come Messicano, come immigrato, come essere umano, sono contro ogni forma di muro che ci separa“) e il nostro Alessandro Bertolazzi (“Io sono italiano, questo Oscar è per tutti gli immigrati”), che si è aggiudicato insieme a Giorgio Gregorini e Christopher Nelson la statuetta per il trucco di Suicide Squad.
Un po’ d’Italia c’è dunque stata in questa 89ª edizione degli Academy Awards, nonostante Gianfranco Rosi e il suo acclamato Fuocoammare non siano riusciti a portare a casa l’Oscar come miglior documentario. A “levargli” il premio è stato infatti O.J.: Made in America, film che ripercorre la vita di O.J. Simpson e che era dato come favorito già da settimane. Pronostico rispettato, quindi, come in fondo, a parte la sorpresa finale, è accaduto in tutte le categorie.

I due film annunciati come protagonisti della serata, Moonlight e La La Land, hanno ottenuto rispettivamente tre e sei Oscar. Il primo oltre a quella per miglior pellicola, si è aggiudicato la vittoria per la sceneggiatura non originale e per l’attore non protagonista, Mahershala Ali. Il secondo invece si è aggiudicato i premi per la fotografia, la colonna sonora, la canzone (la bellissima City of Stars), la scenografia, e soprattutto per la regia e l’interpretazione femminile. Sia Damien Chazelle sia Emma Stone si sono aggiudicati il premio alla loro seconda candidatura. Tra l’altro, il regista, dopo la nomination per il suo film d’esordio Whiplash, è riuscito nell’impresa di vincere l’Oscar a soli trentadue anni, risultando il più giovane della storia ad essere premiato in questa categoria. E se il suo discorso, nonostante questo “record”, è apparso abbastanza convenzionale, quello dell’attrice, che ha battuto la notevole Natalie Portman di Jackie, è stato più accorato e ricco di emozioni. La Stone, che aveva rischiato di vincere già due anni fa per la sua interpretazione in Birdman, salita sul palco in lacrime, ha ringraziato Chazelle per averle dato l’opportunità di recitare nel film e Ryan Gosling, “il miglior partner del mondo”, “per avermi fatto ridere e aver sempre alzato l’asticella”.
Come attrice non protagonista ha vinto invece Viola Davis, al secondo Oscar, per la sua performance in Barriere, diretto da Denzel Washington; mentre come miglior attore protagonista è stato premiato Casey Affleck per Manchester by the Sea. L’attore, dopo una vita da outsider all’ombra del più noto fratello Ben, si è finalmente preso la sua rivincita. Con la statuetta in mano, Affleck ha ringraziato i genitori, il regista Kenneth Lonergan, Matt Damon ed infine proprio il fratello maggiore. “Grazie Ben! Ti voglio bene”, ha dichiarato dal palco del Dolby Theatre, zittendo una volta per tutte le voci sulla loro rivalità. Dopo questo Oscar, probabilmente la sua carriera decollerà definitivamente. Sempre che l’epic fail finale non faccia dimenticare a tutti la sua vittoria…
Credits Image: ©GettyImage

di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it

 

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