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THE DRESSMAKER – Vendetta con ago e filo

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Un famoso stilista una volta ha dichiarato che gli abiti sono un’arma. Sono d’accordo. Mi piace molto l’idea che una donna riesca a realizzare la propria volontà indossando creazioni straordinarie, capaci di trasformare chi le indossa, al pari di un magico amuleto custode di forza e coraggio.
Pensateci bene, un abito ha il potere di nascondere i difetti, di celare vanità e gelosie, enfatizzare virtù, riflettere la personalità.

In THE DRESSMAKER – Il diavolo è tornato, moda e vendetta si mescolano, si fondono, si contaminano, in un gioco di seduzione e potere. E se nei vecchi western erano le pallottole a governare gli equilibri, in questo scenario sono i vestiti le armi dell’esaltazione del corpo, l’unico strumento efficace di riscatto. Se l’importanza dei costumi è innegabile in ogni film, in questo lavoro, i costumi costituiscono quasi la gnoseologia della storia. Riflettono non solo uno studio sulle silhouette, ma anche sulle forme, sulle trasformazioni, sulle convenzioni sociali dell’epoca. La protagonista è Kate Winslet, nei panni di Tilly, una stilista che ha vissuto a Parigi per molto tempo e che torna dopo 20 anni nel suo paese natale, in Australia. Una donna bella, forte, sensuale, che a colpi di abiti bellissimi saprà come riscattarsi e vendicarsi.
La sua apparizione in Paese avviene durante una partita di rugby, dove il suo abito rosso fasciante accompagnato da guanti alti, tacchi, sigaretta con bocchino e un portamento aggressivo distoglie i giocatori dal campo e stride con i colori e i modelli delle donne con camicette a fiori beige e grigi e abitini slavati. Questa scena è l’incarnazione perfetta del potere creativo di Tilly e della sua capacità di essere il motore narrativo del film. Dopo aver lavorato con gli stilisti più grandi stilisti parigini, da Dior a Balenciaga, Tilly porta a Dungatar uno stile contemporaneo e una sensibilità tutta europea. I suoi abiti sono caratterizzati da tinte vivaci – rosso scuro, giallo ocra, verde smeraldo. La forza di questi colori deve spiccare sulla palette pallida e obsoleta dei colori dominanti a Dungatar.
Quel meraviglioso abito rosso è il suo modo per dire: ‘Sono tornata e dovete guardarmi’. Tilly è come la sirena per Ulisse nell’Odissea: un faro nella nebbia. Si palesa subito in tutta la sua bellezza, esaltata dai costumi raffinati e tacchi vertiginosi, cozzando rispetto al paesaggio spoglio e al mood depresso degli abitanti. In realtà sarà proprio questa estraneità, il suo alone di mistero e di “diabolicità” che attrarrà i suoi (ex) concittadini. Tutta la pellicola è ricca di bellissime creazioni: sontuose, eleganti, sfavillanti, disegnate da MARGOT WILSON. Alcuni costumi vengono da collezioni private internazionali. I dettagli, anche se spesso sfuggono alle telecamere, come la biancheria vintage, sono cruciali. Ma capaci di far germogliare un barlume di speranza negli australiani, tendendo una mano – o meglio, un filo – a cui appendersi.

di Valeria Ventrella per DailyMood.it

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