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Fargo. I settanta, il sangue e Reagan

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“Stanno attaccando le frecce a Ronald Reagan…” Inizia così Fargo, seconda stagione della serie tv ispirata al classico dei Fratelli Coen (qui in veste di produttori esecutivi) e creata da Noah Hawley. Cioè con i titoli di testa di Massacro a Sioux Falls, in cui Ronald Reagan era l’attore protagonista, in bianco e nero, e con un finto dialogo assurdo sul set, tra uno della produzione e un indiano che fa la comparsa nel film. La storia della seconda stagione di Fargo poi ci porterà altrove. Ma questo inizio ci dice già molto. Siamo in Minnesota nel 1979 – e, ci dicono sui titoli di testa per creare l’atmosfera giusta, i fatti raccontati sono veri – e l’era Reagan sta per iniziare. È sotto questa stella che accadono i fatti di Fargo. Una serie tv che racconta un luogo, un modo di essere, ma anche un’era, gli anni Settanta, con un’America ancora scossa dagli assassini dei Kennedy, dal Watergate e dal Vietnam. “Pare che vi siate portati la guerra a casa” dice il suocero al protagonista, l’agente Lou Solverson (Patrick Wilson), reduce dal Vietnam. Sono anni bui, così pare. Eppure un’era ancora più oscura, quella di Reagan, sta per iniziare.

Se le atmosfere di Fargo sono rigorosamente Made in Coen, la storia ha in comune con il loro famoso film solo l’ambientazione (ed è slegata dalla prima serie, della quale rappresenta quasi un prequel). Ha a che fare con una famiglia di criminali, di origine tedesca, e della lotta alla successione del boss, gravemente malato: se la giocano la moglie, i figli, e una gang di Kansas City che punta ad espandersi in Minnesota come se dovesse posizionare un’azienda. Uno dei figli del boss tedesco commette l’assassinio che dà il via alle indagini, tre morti in una waffle house. “È una rapina in un ristorante, Karl, non l’omicidio di un presidente” dice l’agente Solverson a un reduce del Vietnam paranoico. “È così che inizia, con qualcosa di insignificante, come una piccola infrazione al Watergate Hotel. Ma diventerà più grande”. Mentre parlano, dietro a loro spicca un ritratto di Reagan, ancora lui. In tutto questo si troveranno coinvolti una coppia, lui macellaio e lei parrucchiera, finiti nel pasticcio per caso.

I toni sono quelli tipici dei fratelli americani, con una storia che va dal noir alla dark comedy. A Fargo i colori dominanti sono il bianco e il rosso: il bianco della neve, sul quale il rosso del sangue risalta ancora di più. Il fil rouge che lega il film è proprio il rosso del sangue: quello versato nel diner dove avviene il delitto, come in quello della macelleria dove lavora uno dei protagonisti.

In Fargo tutto è rigorosamente anni Settanta, dalle giacche di pelle color arancione ai montoni rovesciati, fino alle camicie stampate dalle fantasie più improbabili, che fanno a gara con quelle delle carte da parati. Anche la regia evoca gli anni Settanta, con uno dei cavalli di battaglia dell’epoca, lo split screen – lo schermo diviso in due o più parti – usato come elemento distintivo della serie, a volte anche a sproposito. Tra molti divertissement puramente coeniani, come un cadavere eliminato usando un tritacarne, e una macchina da scrivere usata come macchina da tortura, la sorpresa è Kirsten Dunst, ingrassata ad arte per il ruolo di Peggy Blumquist, una parrucchiera e moglie (im)perfetta. Per prendere peso ha seguito una dieta a base di formaggi alla griglia, pane e pizza. Le nuove forme le donano. E per l’eterna ragazzina bionda si è aperta una nuova fase della carriera.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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