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Meryl Streep la ‘pasionaria’: “La critica americana dominata dagli uomini”

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Quaranta sono i film che ha alle spalle, diciannove le nomination agli Oscar, tre le statuette vinte, mentre la sua prima volta da giurata in un festival sarà alla prossima Berlinale, nel ruolo di Presidente di Giuria. Merito di Dieter Kosslick, direttore della kermesse, che è riuscito nell’impresa che altri hanno fallito riportandola laddove nel 2012 le fu consegnato un Orso alla carriera.

Meryl Streep è così, inarrestabile, vulcanica, un mix di eleganza, talento, modestia, ha il carisma delle dive di Hollywood, la saggezza della grande maestra e la fierezza di un’eroina che non si lascia intimidire dal tempo che passa. Una combattente pronta a scendere in campo soprattutto quando si tratta di diritti delle donne; in pochi dimenticheranno la sua esultanza alla scorsa notte degli Oscar quando Patricia Arquette ritirando la statuetta parlò di parità salariale tra uomini e donne.

Non ama definirsi femminista, ma non ha esitato a indossare per la promozione del suo ultimo film, “Suffragette” (che ha aperto il London Film festival lo scorso 6 ottobre e che inaugurerà Torino il prossimo 20 novembre), una t-shirt con lo slogan “Meglio ribelle che schiava”. Parole appartenute al personaggio che interpreta, Emmeline Pankhurst, carismatica leader del movimento di operaie che nel 1912 in Inghilterra si batté perché venisse riconosciuto il diritto di voto alle donne. In “Suffragette” la Streep appare solo il tempo di qualche battuta, pochi attimi accanto alle colleghe Carey Mulligan e Helena Bonham Carter, che bastano però ad aggiungerlo ad una ormai infinita galleria di ruoli memorabili.

Un impegno fatto non solo di proclami: qualche mese fa ha infatti fondato il ‘The Writers Lab‘, il primo laboratorio di sceneggiatura per donne sopra i quaranta anni. Intanto da Londra la Streep rivendica il bisogno di eguaglianza e punta il dito contro un’industria cinematografica americana ancora sessista e una critica dominata prevalentemente da gusti maschili: “Sono loro che orientano le preferenze del pubblico e determinano il successo del film al box office. La parola esatta in questo caso non è deprimente, ma irritante perché le persone accettano tutto questo come dato di fatto”. Come sia possibile? “Negli Usa quando vuoi andare a vedere un film in genere si va su un sito molto popolare, Rotten Tomatoes. – spiega – Sono voluta andare a fondo e ho fatto delle ricerche sul numero di collaboratoricritici, blogger e scrittori. Bene, di questi 168 sono donne e sarebbe un numero ragionevole se ci fossero 168 uomini, invece ho scoperto che Rotten Tomatoes conta 760 critici maschi. Ma sappiamo bene che donne e uomini non sono uguali, hanno gusti diversi: qualche volta amano le stesse cose, altre volte no. Sono andata anche sul sito del New York Film Critics e ho contato 37 uomini e due donne, in sostanza l’industria cinematografica e la critica americana sono controllate da uomini, sono loro quindi che orientano le preferenze del pubblico e determinano il successo del film al box office”.

La femminilità declinata nelle sue varie e imprevedibili sfumature, anche quando come nell’ultimo “Dove eravamo rimasti”, la nostra ‘Lady di Ferro’ si concede un look da rockettara con tanto di chitarra e il soporifero effetto di una canna d’erba addosso.

di Elisabetta Bartucca per Dailymood.it

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