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Cortocircuito danese. The Danish Girl

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Siamo a Copenaghen. Lui dipinge piccoli quadri con il mare in inverno. Lei, ancora alla ricerca di un’autentica ispirazione, ritrae la borghese cittadina. Un giorno, Gerda convince faticosamente il marito a posare con un abito femminile per poter completare il ritratto di Anna, la cantante lirica loro amica. Ma l’ipnotico movimento del pennello di Gerda e il vellutato contatto della stoffa sulla pelle sospingono Einar in un mondo d’ombre e sogni. In quel momento scopre che il suo cervello è una noce spaccata in due metà; una appartiene a lui, l’altra a Lili, l’entità femminile che ha involontariamente richiamato dagli angoli più remoti della sua infanzia, dov’era stata relegata per il brusco intervento degli adulti. Il dipinto diventa uno specchio che denuda il vero volto dell’uomo.

L’arte è il collante che unisce Lili e Gerda, ma allo stesso modo l’arte riflette significati nascosti, squarcia il velo e mostra la realtà intima delle cose. Questo cortocircuito tra arte e vita sottende tutta la trama della storia. Ispirandosi alla vicenda reale di Einar Wegener, il paesaggista che agli inizi degli anni trenta si affidò alla chirurgia per cambiare sesso, Ebershoff si è mosso dai temi dell’ambiguità del sentimento umano, del gioco tra realtà e finzione per scrivere un romanzo di ampio respiro, teso fra passato e presente, tra luoghi diversi e distanti cogliendo così le mille diffrazioni psicologiche dell’amore e della sensualità.

Eddie Redmayne, fresco premio Oscar per aver interpretato l’astrofisico Stephen Hawkins in La teoria del tutto, nella sua liberatoria rinascita, diventa così Lili. Eccezionale nel trovare tutta la femminilità che c’è in lui, a volte anche eccedendo in sbattimenti di palpebre e sorrisi eterei. Che poggiano sulla forza della moglie Gerda, donna che ha compreso, accettato, aiutato, sorretto questo viaggio nel gender, alla ricerca della propria autenticità interiore. Al contempo, Gerda, suo malgrado, lascia trasparire il conflitto interiore di una donna che “perde” gradualmente suo marito, sforzandosi di comprendere le sue esigenze; in tal senso è forse inevitabile empatizzare con lei, vittima e anche iniziatrice involontaria di questo cambiamento.

Einar è ritratto come un vero precursore, e Tom Hooper gli rende omaggio con un’elegia amara e melodrammatica, impreziosita dalla qualità delle interpretazioni e dei valori produttivi. Raccontare la storia di Einar Wegener significa risalire alle origini di una rivoluzione che ha sfidato non soltanto la morale, ma anche la concezione stessa del corpo come un tempio immutabile, o una prigione da cui non c’è uscita. Questa metamorfosi fisica e comportamentale è ritratta in maniera sublime in questo capolavoro di Hooper. Il regista di Danish Girl tratteggia con delicatezza e cura tutte le sfumature umane che sottendono la trama, in bilico tra un coraggioso viaggio alla ricerca della propria identità e una grande storia d’amore. Gli splendidi costumi di Paco Delgado contribuiscono a stabilire il clima degli anni Venti, immergendo gli attori in una Belle Époque dove la comunità degli artisti cominciava a sperimentare uno stile di vita più libero e provocatorio.

di Valeria Ventrella per DailyMood.it

Photo: courtesy of Universal Pictures 

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