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U2. L’unione fa la forza

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Entrano in scena in un palco spoglio e scarno, illuminati solo da una lampadina, nel loro Innocence & Experience Tour, che farà tappa a Torino i prossimi 4 e 5 settembre. Come a dire che gli U2 si sentono ancora lì, quattro amici con i loro strumenti e basta, in uno di quei piccoli club in cui suonavano a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta. La più grande rock band del pianeta secondo molti. Irrilevanti secondo molti altri, visto che forse da una decina d’anni non stanno più cambiando le regole del rock, ma stanno solo sfornando ottimi dischi, e canzoni che le band nate nel nuovo millennio possono solo sognare. Il loro ultimo disco, Songs Of Innocence, è proprio un racconto delle loro origini, delle band che hanno cambiato la loro vita, come i Ramones e i Clash, delle strade in cui sono cresciuti, come Cedarwood Road, dei propri genitori (la madre di Bono, Iris) e dello scontro con la tragica realtà degli attentati dell’IRA. Il guardare indietro, il guardarsi dentro, è una delle chiavi del successo di una band che si sente ancora lì, in quella cucina dove si ritrovò per le prime prove, dopo che nel 1976 il batterista Larry Mullen Jr. affisse un annuncio sulla bacheca della Mount Temple School.

Suonavano canzoni proprie perché non erano così bravi da suonare quelle degli altri. Così gli U2 hanno sviluppato un suono così personale. Un cantante con una voce acuta e rabbiosa, egocentrico al punto giusto (la morte della madre, quando aveva 14 anni, ha creato un vuoto da riempire ogni sera con l’abbraccio di migliaia di persone) come Bono. Un chitarrista come The Edge, che ha creato uno stile unico, fatto di suoni taglienti, carichi di eco, un suono fatto di pieni e vuoti, colmati dal basso pulsante e pieno di Adam Clayton, uno senza il quale anche il suono di The Edge non esisterebbe. E poi Larry Mullen Jr., l’eterno ragazzo, l’amante di Elvis e del rock’n’roll classico, quello che in Sunday Bloody Sunday suonava la batteria come un tamburo militare, e in Bullet The Blue Sky si trasformava in John Bonham dei Led Zeppelin per evocare, insieme alla chitarra di The Edge, i suoni dei voli degli aerei e delle bombe americane sul Nicaragua.

Quattro amici con i loro strumenti. Il segreto degli U2 probabilmente sta proprio nei loro rapporti umani (ricordate una band così longeva che non abbia cambiato formazione?). Eppure la band è stata più volte sul punto di sciogliersi. La prima durante la gestazione dell’album October, quando i loro dubbi sulla compatibilità della vita da rockstar con la fede cristiana stava spingendo tre dei quattro membri (tutti tranne Clayton) a mollare tutto. La seconda all’inizio degli anni Novanta, durante le registrazioni di quello che sarebbe diventato il loro disco capolavoro, quello della reinvenzione, Achtung Baby, iniziato agli Hansa Studios di Berlino per proseguire nella loro Dublino. Un’anima divisa in due, con Bono e The Edge che spingevano per un suono più sperimentale, e Adam e Larry che volevano un suono più classico. Poi, all’improvviso, una parte di chitarra di una canzone (Misterious Ways) viene presa da Edge e suonata da sola. Bono inizia a cantare su quegli accordi le parole “va meglio, o ti senti nello stesso modo? “ e nasce One, la pietra angolare sulla quale costruire Achtung Baby, un pezzo classico eppure ammantato di un suono acido, una melodia dolce ma parole dal retrogusto amaro. Sembra una canzone d’amore, ma è una storia di disagio e sopportazione. Quel “we get to carry each other”, dobbiamo sostenerci a vicenda, dice tutto.

Proprio il cambiare pelle è un altro segreto degli U2. L’insoddisfazione dell’artista, quella che lo porta e registrare ogni disco come se fosse l’ultimo. Dal rock innocente e sporcato di new wave dei primi dischi Boy e October, al suono diretto e potente di War, fino all’incontro con Brian Eno e Daniel Lanois che ha portato al suono più liquido e rarefatto di The Unforgettable Fire (dove c’era sì la hit Pride, ma anche molti episodi sperimentali), un’onda lunga che è arrivata fino all’esplosione di The Joshua Tree, stesse atmosfere del disco precedente, ma suoni che esplorano la musica americana, il blues e il gospel, un viaggio nel cuore degli States che trovarà il suo compimento nel celebrativo Rattle And Hum. The Joshua Tree è il disco che fissa nell’immaginario di tutti il classico suono U2, quello che si può ammirare in Where The Streets Have No Name e che è ancora oggi imitato da moltissimi. Dopo Rattle And Hum ecco il punto di non ritorno: cambiare o morire. Ed ecco Achtung Baby, “il suono di quattro uomini che abbattono il Joshua Tree”: suoni stridenti, come le storie d’amore tormentate che racconta (ispirate al divorzio di The Edge), influenzate da gruppi rock del momento, con i feedback dei My Bloody Valentine, i ritmi del movimento Madchester, i suoni industriali dei Nine Inch Nails. La svolta elettronica viene portata all’estremo nei successivi Zooropa e Pop, un disco che, come disse Bono, “inizia come un party e finisce come un funerale”, suoni vicini alla scena dance, al big beat di Prodigy e Chemical Brothers, ma testi intimi e spirituali come non li leggevamo dai tempi di October. Non fu un successo ed ecco gli “U2 back to their basics”, in All That You Can Leave Behind, che saluta il nuovo millennio con le hit Beautiful Day, Elevation, Walk On. Successo assicurato, soprattutto nella loro amata America. Di hit ce ne saranno ancora, come Vertigo, ma il disco al quale appartiene, How To Dismantle An Atomic Bomb, sembra più un greatest hits studiato a tavolino che un disco omogeneo e ispirato. Il successivo No Line On The Horizon è il contrario: non ha hit ma è intenso e ricco di atmosfere. E si arriva a Songs Of Innocence, il disco distribuito gratis a tutti i possessori di un account iTunes: un’operazione che forse ha fatto passare in secondo piano il disco stesso, il loro più sincero e fresco da tanti anni a questa parte. Verrà seguito da Songs Of Experience, un disco più rock che racconterà il loro percorso verso l’esperienza e le tentazioni.

Lo spettacolo che vedremo al Pala Alpitour di Torino il 4 e 5 settembre prossimi sarà la prima occasione di vederli al chiuso, in un palazzetto, dai concerti dello Zoo Tv Tour di Milano del 1992. Si tratta solo in apparenza di uno show più piccolo rispetto ai precedenti tour (farlo più grande del 360 Tour, d’altra parte, era impossibile). In realtà è uno show che ridefinisce il concetto di concerto indoor con uno schermo che, invece di stare sopra o ai lati del palo principale, taglia la venue in tutta la sua lunghezza, sovrastando e a volte coprendo la passerella che unisce il palco principale e il palco minore. Il concerto è un viaggio dall’innocenza all’esperienza, che parte dal palco scarno e illuminato come se fossimo a uno show di inizio anni Ottanta (si parte con The Miracle Of Joey Ramone per toccare i loro primi successi, I Will Follow, The Electric Co., Out Of Control), e racconta le storie della loro giovinezza (Iris, Cedarwood Road, Song For Someone) e il loro scontro con l’esperienza (l’IRA di Sunday Bloody Sunday – qui in versione acustica – e Raised By Wolf) fino alla canzone su Giuda, Until The End Of The World. La seconda parte è una sorta di greatest hits. Lo schermo diventa protagonista, con un sistema rivoluzionario che porta i musicisti a diventare parte di esso, a fondersi con le immagini proiettate. Ancora una volta qualcosa di nuovo, di mai visto, di unico. Questi sono gli U2.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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