Mood Face
U2. L’unione fa la forza
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9 anni agoon
Entrano in scena in un palco spoglio e scarno, illuminati solo da una lampadina, nel loro Innocence & Experience Tour, che farà tappa a Torino i prossimi 4 e 5 settembre. Come a dire che gli U2 si sentono ancora lì, quattro amici con i loro strumenti e basta, in uno di quei piccoli club in cui suonavano a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta. La più grande rock band del pianeta secondo molti. Irrilevanti secondo molti altri, visto che forse da una decina d’anni non stanno più cambiando le regole del rock, ma stanno solo sfornando ottimi dischi, e canzoni che le band nate nel nuovo millennio possono solo sognare. Il loro ultimo disco, Songs Of Innocence, è proprio un racconto delle loro origini, delle band che hanno cambiato la loro vita, come i Ramones e i Clash, delle strade in cui sono cresciuti, come Cedarwood Road, dei propri genitori (la madre di Bono, Iris) e dello scontro con la tragica realtà degli attentati dell’IRA. Il guardare indietro, il guardarsi dentro, è una delle chiavi del successo di una band che si sente ancora lì, in quella cucina dove si ritrovò per le prime prove, dopo che nel 1976 il batterista Larry Mullen Jr. affisse un annuncio sulla bacheca della Mount Temple School.
Quattro amici con i loro strumenti. Il segreto degli U2 probabilmente sta proprio nei loro rapporti umani (ricordate una band così longeva che non abbia cambiato formazione?). Eppure la band è stata più volte sul punto di sciogliersi. La prima durante la gestazione dell’album October, quando i loro dubbi sulla compatibilità della vita da rockstar con la fede cristiana stava spingendo tre dei quattro membri (tutti tranne Clayton) a mollare tutto. La seconda all’inizio degli anni Novanta, durante le registrazioni di quello che sarebbe diventato il loro disco capolavoro, quello della reinvenzione, Achtung Baby, iniziato agli Hansa Studios di Berlino per proseguire nella loro Dublino. Un’anima divisa in due, con Bono e The Edge che spingevano per un suono più sperimentale, e Adam e Larry che volevano un suono più classico. Poi, all’improvviso, una parte di chitarra di una canzone (Misterious Ways) viene presa da Edge e suonata da sola. Bono inizia a cantare su quegli accordi le parole “va meglio, o ti senti nello stesso modo? “ e nasce One, la pietra angolare sulla quale costruire Achtung Baby, un pezzo classico eppure ammantato di un suono acido, una melodia dolce ma parole dal retrogusto amaro. Sembra una canzone d’amore, ma è una storia di disagio e sopportazione. Quel “we get to carry each other”, dobbiamo sostenerci a vicenda, dice tutto.
Lo spettacolo che vedremo al Pala Alpitour di Torino il 4 e 5 settembre prossimi sarà la prima occasione di vederli al chiuso, in un palazzetto, dai concerti dello Zoo Tv Tour di Milano del 1992. Si tratta solo in apparenza di uno show più piccolo rispetto ai precedenti tour (farlo più grande del 360 Tour, d’altra parte, era impossibile). In realtà è uno show che ridefinisce il concetto di concerto indoor con uno schermo che, invece di stare sopra o ai lati del palo principale, taglia la venue in tutta la sua lunghezza, sovrastando e a volte coprendo la passerella che unisce il palco principale e il palco minore. Il concerto è un viaggio dall’innocenza all’esperienza, che parte dal palco scarno e illuminato come se fossimo a uno show di inizio anni Ottanta (si parte con The Miracle Of Joey Ramone per toccare i loro primi successi, I Will Follow, The Electric Co., Out Of Control), e racconta le storie della loro giovinezza (Iris, Cedarwood Road, Song For Someone) e il loro scontro con l’esperienza (l’IRA di Sunday Bloody Sunday – qui in versione acustica – e Raised By Wolf) fino alla canzone su Giuda, Until The End Of The World. La seconda parte è una sorta di greatest hits. Lo schermo diventa protagonista, con un sistema rivoluzionario che porta i musicisti a diventare parte di esso, a fondersi con le immagini proiettate. Ancora una volta qualcosa di nuovo, di mai visto, di unico. Questi sono gli U2.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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