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Pretty Woman. Cenerentola, formato Prince

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Correva il marzo del 1990 quando uscì nei cinema americani “Pretty Woman”. Le aspettative erano grandi, ma forse nessuno immaginava che sarebbe diventato un cult. E invece l’incontro tra la prostituta Vivian e l’uomo d’affari Edward è entrato nella storia. Il regista Arnon Milchan, israeliano, giovane e già famoso a Hollywood per Re per una notte, C’era una volta in America, Brazil e La guerra dei Roses, prese subito due decisioni chiave per trasformare quella storia realistica e un po’ oscura in una favola che nessuno, in Europa come in America, si è ancora stancato di rivedere: prima inventa un lieto fine («Nell’originale il businessman pagava la ragazza, le comprava una pelliccia e se ne andava, ma non potevamo mollare la ragazza così») e poi chiama il più improbabile tra tutti i grandi studios, la Walt Disney.

Prima di arrivare alla favola come la conosciamo oggi, ci sono stati tanti passaggi. Nello script originale a Vivian servivano soldi per andare a Disneyland mentre nel finale Edward la butta fuori dalla sua auto e se ne va. Sean Connery era troppo vecchio per la parte. Al Pacino, che era in lizza per il ruolo di Edward, diede subito forfeit, cosi come Michelle Pfeiffer. Meg Ryan, Kim Basinger, Melanie Griffith, Sharon Stone, Heather Locklear, Diane Lane, Sandra Bullock, Kristin Davis e Sarah Jessica Parker rifiutarono la parte. L’idea originale era quella di fare un film cupo e drammatico sulla prostituzione a New York, con Vivian squillo tossicodipendente e Edward rude alcolizzato. La sceneggiatura non convince. Il film fu salvato da Julia Roberts, che fece un’audizione strepitosa. Neanche Richard Gere, a primo impatto, era entusiasta della parte. Lo conquistò la Roberts, durante il loro primo incontro, con un post-it, in cui scrisse: “Per favore, dì di sì”. E l’American Gigolò, come da copione, salvò l’opera.

Tutti i pezzi, un po’ per caso, un po’ per buona sorte, erano al loro posto, tranne uno: il titolo. Doveva essere Three Thousand. Ma poi, Oh Pretty Woman di Roy Orbison era nell’aria e suggerì il nome del capolavoro. E Pretty Woman fu. Trascorrono gli anni, cambiano le mode e la donna diventa sempre più libera e indipendente, ma in fondo i grandi sogni non passano mai. Pretty Woman, la storia di una moderna Cenerentola che dalla strada trova l’amore e l’uomo perfetto compie un quarto di secolo, ma è ancora un film indelebile. Sarà per la scena dello shopping spudorato in Rodeo Drive, sarà per il leggendario epilogo con il principe azzurro Richard Gere che si arrampica in cima alla scala antincendio. Sarà per l’adorabile direttore dell’Hotel. Per l’indimenticabile Kiss di Prince, cantata a squarciagola nella vasca da bagno. Per l’opera a cui Richard Gere e Julia Roberts assistono: “La Traviata” che, manco a farlo apposta, racconta di una prostituta che si innamora di un uomo ricco. Sono un mix di elementi che rendono questo film irripetibile. Una rinfrescata a ‘cenerentola’, un’aggiustatina a ‘My Fair Lady’ ed ecco spiegata questa favola moderna, tenera e spiritosa, romantica e spigliata, con una colonna sonora che ti resta dentro.

di Valeria Ventrella per DailyMood.it

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Criterion 10
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