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La principessa e l’aquila – Nei cinema dal 31 agosto

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Dimenticate Daenerys Targaryen e Katniss Everdeen… la vera eroina è Aisholpan!

La Principessa e l’Aquila racconta la straordinaria storia vera di Aisholpan, una ragazzina di tredici anni che lotta per diventare la prima addestratrice di aquile, in un contesto culturale in cui l’addestramento delle aquile è un’arte millenaria tradizionalmente riservata ai soli maschi. Aisholpan è la protagonista di un epico viaggio verso la vittoria in una terra lontana.

Questa giovane ragazza nomade sogna di poter partecipare e vincere l’annuale competizione che si tiene al Festival dell’Aquila Reale e di riuscire a cacciare anche durante il rigido inverno della Mongolia, per dimostrare che “le ragazze possono fare le stesse cose che fanno i ragazzi, se sono determinate”. Aisholpan convince il padre Agalai, professionista della caccia con l’aquila, ad allenarla e a insegnarle questa antica arte tramandata tradizionalmente di generazione in generazione di padre in figlio.

La storia è ambientata nel suggestivo paesaggio dei monti Altai, situati nel Nord della Mongolia: la località più remota all’interno dello stato meno popolato del pianeta Terra. Questo piccolo mondo misterioso ricco di tradizioni millenarie, rischia però di soccombere all’arretratezza e all’ignoranza a causa dello stato di isolamento in cui si trova da sempre. Per un lunghissimo tempo le donne sono state considerate dai capifamiglia kazaki troppo deboli e fragili per potersi dedicare alla caccia con l’aquila. Ma Aisholpan è determinata a dimostrare che si sbagliano e a cambiare la storia.

La Principessa e l’Aquila, grazie a incredibili riprese ad alta quota e momenti di introspezione più intima che raccontano il viaggio personale intrapreso da Aisholpan, narra temi universali come l’affermazione e la valorizzazione della donna, le meraviglie del mondo naturale e il percorso di formazione e crescita di una giovane donna.

Di grande potenza visiva, girato con tecniche innovative che ci portano a contatto con la magica natura delle montagne e dei cieli della Mongolia, LA PRINCIPESSA E L’AQUILA racconta un’incredibile storia vera, un’emozionante avventura per tutta la famiglia sull’amicizia, la ribellione e il coraggio che ci vuole per spiccare il volo.

Il film ha partecipato con successo a numerosi festival in tutto il mondo, dal Sundance a Telluride, da Toronto alla Festa del Cinema di Roma,raccogliendo il plauso del pubblico e della critica e una candidatura al BAFTA, l’Oscar del cinema britannico, come Miglior Documentario. LA PRINCIPESSA E L’AQUILA, l’appassionante racconto di Otto Bell, arriverà nei cinema italiani a partire dal 31 agosto distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection con la voce di Lodovica Comello.

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Priscilla: Graceland è come Versailles, Sofia Coppola ci racconta la giovane moglie di Elvis, regina senza un regno

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I piedi da bambina, con le unghie dipinte di rosso, si muovono su una moquette rosa. Un eyeliner trucca in modo pesante due occhi bellissimi, allungandoli, come si usava negli anni Sessanta. È così che inizia Priscilla, il nuovo film di Sofia Coppola, presentato alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia, e in uscita al cinema il 27 marzo. Priscilla è la storia della sposa bambina di Elvis Presley, prodotta dalla stessa Priscilla Beaulieu e tratta dal suo romanzo. È il controcampo di Elvis, il film di Baz Luhrmann sul Re del rock, con la macchina da presa costantemente sulla moglie, e Presley sempre di lato, in secondo piano, forse sminuito anche troppo. Quello che conta è che Priscilla è una nuova storia al femminile di Sofia Coppola, perfettamente in linea con la sua poetica.

Quando l’adolescente Priscilla Beaulieu (Cailee Spaeny) incontra a una festa Elvis Presley (Jacob Elordi), l’uomo, che è già una superstar del rock’n’roll, nel privato le si rivela come qualcuno di completamente diverso: un amore travolgente, un alleato nella solitudine e un amico vulnerabile. Attraverso gli occhi di Priscilla, Sofia Coppola ci racconta il lato nascosto di un grande mito americano, nel lungo corteggiamento e nel matrimonio turbolento con Elvis. Una storia iniziata in una base dell’esercito tedesco e proseguita nella sua tenuta da sogno a Graceland. Una storia fatta di amore, sogni e fama.

“Ti piace Elvis Presley?” “Ovvio, a chi non piace”. Immaginate di essere una ragazzina del liceo, in un paese straniero, in Germania, e di sentirvi chiedere da un impresario se volete venire a una festa a casa di Elvis. Immaginate le emozioni che agiterebbero chiunque. Ed è proprio questo che capita alla giovanissima Priscilla, un prisma di sensazioni che vanno dal timore, al desiderio, alla volontà di non deludere i genitori protettivi che, giustamente, sono preoccupati per una relazione con un uomo più grande, e di tale fama. Per Priscilla sarà un viaggio dentro a un sogno. Un sogno da cui, più volte, si desterà bruscamente.

Non è tutto oro ciò che luccica. E anche Elvis, il Re del rock, visto da vicino non è quell’uomo che appare al pubblico adorante di tutto il mondo. Già quando lo vediamo per la prima volta, alla famosa festa, ha una camicia bianca e un cardigan, ed è molto lontano dagli abiti scintillanti di scena a cui siamo abituati e che ha riportato l’Elvis di Baz Luhrmann. Ma non si tratta solo di questo. Se Elvis è stato una delle voci più belle e potenti della storia della musica, l’uomo che vediamo in Priscilla biascica le parole, parla a monosillabi, non fa altro che dormire stordito da ogni tipo di tranquillante. È un uomo violento. O meglio. È un uomo a cui, da sin da giovane, nessuno ha mai detto di no (tranne che, ovviamente, il colonnello, il suo manager), e che crede di poter fare di ogni persona quello che vuole. Così, per lui, Priscilla non è nemmeno una persona. È il suo giocattolo, la sua bambola, una a cui dire come vestirsi e come portare i capelli. E, quel che è più grave, un gioco da riporre ogni volta che ci si è stancati di giocarci.

Priscilla è un film che vive di contrasti. Il Re del rock e la liceale. L’uomo e la bambina. La differenza di statura tra i due attori, Jacob Elordi e Cailee Spaeny, è notevole. Al cinema, si sa, la cosa si può colmare con diversi trucchi. Eppure Sofia Coppola non fa nulla per nascondere la differenza di altezza tra i due. Quasi che volesse, in quel modo, marcare una distanza incolmabile, un dislivello che nasce dai ruoli, dalla fama, dalla ricchezza. Ma, soprattutto, dal genere.

Sì, la discriminazione di genere è un fattore importante in questo film. Che è il solito film di Sofia Coppola, ma il messaggio destinato al maschilismo tossico stavolta è molto più deciso ed esplicito che in altri film, dove era solo un sottotesto. L’Elvis che vediamo in Priscilla è un uomo violento, maschilista, un uomo che gira con le pistole in tasca e prende ogni decisione per sé e per la propria compagna. Il casting del film non è un caso: per il ruolo di Elvis Sofia Coppola ha scelto Jacob Elordi, che nella serie Euphoria è Nate Jacobs, ragazzo violento e dominante. Porta un po’ di quel personaggio e di quest’aura anche qui, e la cosa è funzionale al messaggio. Un altro momento che ci ha fatto riflettere, è quella scena, a un certo punto del film, in cui tre uomini (Elvis, il padre di Priscilla e un altro), si riuniscono a un tavolo, in salotto, a parlare di Priscilla e della sua relazione con Elvis. È la sua vita, parlano di lei, ma sono solo uomini. E lei, con la madre, è fuori, che aspetta in cucina e non può sentire niente. Cailee Spaeny è un volto perfetto per esprimere la gioventù, l’ingenuità, lo smarrimento. È destinata a diventare la prossima star di Hollyood: sentiremo ancora parlare di lei.

La vita di Elvis, la sua carriera, scorrono lateralmente al film, con il Comeback Special televisivo del 1968 e quell’iconico abito tutto in pelle nera. O la prigione dorata di Las Vegas, con la famosa tuta bianca che appare nel salone di Graceland al momento di una prova costumi prima di iniziare l’avventura. O, ancora, con i numeri nei film con Ann Margret, e le voci su una possibile storia d’amore. Si vede la sua relazione malata con le medicine, che lo avrebbe portato alla morte, un rapporto che inizia quando Elvis è ancora giovane. Ma il ritratto della star, per quanto voglia mostrarne il lato oscuro, ci sembra a volte eccessivo. Elvis è comunque un mito: mostrarlo come un tipo quasi afasico, che si esprime a monosillabi, continuamente intontito forse è ingeneroso.

Sofia Coppola, da canto suo, continua a girare sempre lo stesso film, ogni volta con sfumature diverse. Le sue sono sempre storie di giovani donne chiuse in prigioni dorate. Quella di Sofia Coppola, lo sappiamo, è stata la Hollywood degli anni Ottanta. Che così, in una sorta di transfert verso altri personaggi, è diventata la Versailles di fine Settecento di Marie Antoinette e adesso la Graceland di Priscilla. Priscilla Beaulieu è un’altra Maria Antonietta, una regina senza regno, e senza un vero re al suo fianco. È ancora l’annoiata moglie di un uomo che sembra interessato a tutt’altro. Così i fuochi d’artificio esplodono a Graceland come a Versailles, ma sono un fuoco fatuo, vuoto. Un paesaggio stato d’animo  al contrario di ragazze che, ancora una volta, sono lost in translation, non riescono a comunicare con chi hanno vicino.

di Maurizio Ermisino pert DailyMood.it

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May December: Natalie Portman, Julianne Moore e le vite degli altri

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“Every artist is a cannibal, every poet is a thief”. “Ogni artista è un cannibale, ogni poeta è un ladro”. Così cantavano gli U2 in The Fly. Ed è questo quello che accade, alla fine, in May December, il nuovo film di Todd Haynes con Natalie Portman e Julianne Moore, presentato allo scorso Festival di Cannes e in uscita al cinema il 21 marzo, dopo una nomination all’Oscar per la migliore sceneggiatura. Abbiamo usato queste parole perché il film di Todd Haynes è un moderno mélo, ma soprattutto una riflessione sul lavoro dell’attore e sul suo modo di avvicinarsi a un ruolo, una storia, una persona. In questo senso Natalie Portman è straordinaria e Julianne Moore è il suo perfetto specchio. E viceversa.

Rivivere uno scandalo

Elizabeth (Natalie Portman) è una famosa attrice, ed è intenzionata a realizzare un film sulla storia vera di una coppia, Gracie (Julianne Moore) e Joe (Charles Melton), la cui relazione clandestina aveva infiammato la stampa scandalistica e sconvolto gli Stati Uniti vent’anni prima. Gracie, già adulta e sposata con figli, aveva avuto una relazione con un dodicenne, e per questo era finita anche in carcere. La cosa sorprendente è che, una volta uscita, Gracie aveva sposato il ragazzo e avuto dei figli con lui. Per prepararsi al suo nuovo ruolo Elizabeth entrerà nella loro vita rischiando di metterla in crisi.

Né vergogna, né dubbi, né rimorsi. Ma…

Quello che colpisce Elizabeth, e anche noi, mentre il film procede, è l’estrema tranquillità nella vita di Gracie. È una normalità così cercata, e così ostentata, da risultare costruita. E che fa pensare al fatto che possa nascondere una serie di crepe profonde dietro la facciata lucida e patinata. “Non sembra mostrare alcun senso di vergogna, né dubbi, né rimorsi” dice di lei Elizabeth. Da un lato, la vita di Gracie sembra quella di una donna pacificata. Dall’altro c’è in lei un mistero, un rimosso, un non detto. Un senso di vergogna che è stato chiuso in un cassetto per poter continuare a vivere. Ma quel cassetto sarà aperto?

Natalie Portman, star e detective dell’anima  

Elizabeth, cioè Natalie Portman, in May December, ha un doppio ruolo. Da un lato è l’attrice, la diva, la star. Ma dall’altro è l’investigatrice. Per prepararsi al film, infatti, indaga, e questo fa sì che sia la nostra detective. Il film funziona come un’indagine, un giallo senza delitto e senza colpevoli, in cui cercare però l’anima dei personaggi e la verità dei fatti. Ed Elizabeth è il nostro punto di ingresso nella storia. È il narratore non onnisciente, colei che scopre le cose man mano che la storia va avanti e ce le racconta. Così, come in un romanzo di questo tipo, anche noi le scopriamo insieme a lei, a poco a poco.

Le vite degli altri

Per questo May December è un moderno mélo, come è nelle corde di Todd Haynes, ma è anche una riflessione sul lavoro dell’attore. Il lavoro dell’attore è indagine, è studio, è approfondimento. Ma, allo stesso tempo, è anche immedesimazione, è ingresso nella vita di qualcun altro, è rubare dei pezzi di un’esistenza. Ma quanto è necessario immedesimarsi in un ruolo? Fino a che punto è necessario diventare qualcun altro? Qual è il momento in cui bisogna fermarsi? E così ci chiediamo, man mano che il racconto procede, perché Elizabeth si immedesimi così tanto in Gracie, perché entri così tanto nella sua vita. Lo fa per il suo lavoro o per qualche altra ragione?

Sto provando piacere o sto cercando di nasconderlo?

A proposito di lavoro dell’attore, May December spiega, come pochi altri film, quello che davvero accade ogni volta che un attore sul set affronta una scena di sesso. È ancora Natalie Portman, nei panni di Elizabeth, a raccontarlo, durante una lezione. Uno studente le chiede che cosa si provi, che cosa accada davvero sul set in quei momenti. E lei lo spiega, con una sincerità rara. All’inizio pensi al fatto che sia come una coreografia, con dei passi e delle mosse da seguire. Ma dopo essere stati ore e ore l’uno accanto all’altra, nudi, ti rendi conto che nasce un feeling, qualcosa che non diresti mai al tuo partner nella vita. E ti fa chiedere: sto provando piacere o sto cercando di nasconderlo? E alla fine ti lasci andare al ritmo.

Natalie Portman e Julianne Moore, intimità allo specchio

A proposito del lavoro dell’attore, dell’immedesimazione, dell’intimità, c’è una scena in particolare che racchiude tutto il senso di May December. È quella in cui Elizabeth e Gracie, Natalie e Julianne, si trovano l’una di fronte all’altra, allo specchio, al trucco. Elizabeth cerca di diventare Gracie, e lei la aiuta. Entrambe fissano prima lo specchio e guardano in macchina, guardano verso di noi. Poi si girano l’una verso l’altra, di fonte, e Gracie trucca Elizabeth come se truccasse se stessa, le acconcia i capelli come li porta lei. E così, guardando la sua emula, è come se si guardasse a sua volta allo specchio, come se parlasse con se stessa. E si confida, si apre come non aveva ancora fatto prima.

Un Eva contro Eva con due star del cinema di oggi

Il film è una sfida di bellezza e di bravura, un Eva contro Eva con due star del cinema di oggi. Julianne Moore è in scena con i suoi colori tipici. I proverbiali capelli rossi qui sono schiariti e tendono al biondo. La pelle è chiarissima e lattiginosa, e le dona un’aria quasi nobile, insieme a un’aura di purezza, quella che Gracie vuole mantenere nella sua vita. Le labbra sottili sono fisse in un lieve e costante sorriso arcaico e un po’ forzato. I suoi occhi si stringono quando sorride. Ma quando il suo volto si scioglie finalmente in un pianto, con il volto arrossato, quando la torre d’avorio crolla, Julianne Moore è credibilissima, reale, palpabile.

Natalie Portman, gli occhi della curiosità

Natalie Portman ha la sua aura inconfondibile, la pelle diafana, il fisco tonico e minuto. A quarantadue anni è ancora un’eterna ragazzina, è ancora la Mathilda di Leon, è davvero cambiata pochissimo. Entra in scena con un leggerissimo abito di cotone bordeaux, i grandi occhiali da sole neri e un cappello di paglia a tesa larga. “Pulita, fresca”, la definiscono, ed è così. Le basta quel volto per conquistare. E invece Natalie Portman non è solo quello. È bravissima a mostrare imbarazzo con la sua bocca, con sorrisi un po’ forzati, con movimenti impercettibili dei muscoli facciali. Ma il centro di tutto sono i suoi occhi castani, da cerbiatto, pieni di luce, ma anche e soprattutto di curiosità. Ed è questa la chiave del suo personaggio, e del lavoro dell’attore in generale. I suoi occhi studiano, scrutano, entrano nelle vite degli altri. È allo stesso tempo contenuta e seducente.

Ogni artista è un cannibale, ogni poeta è un ladro

Sì, ogni artista è un cannibale, ogni poeta è un ladro. Un attore è un artista e un poeta. Ed è così che fa Elizabeth. Alla fine ruba i segreti dell’altra donna, quelli che le sono stati concessi e quelli che non lo sono stati: fate attenzione a quella lettera che, a un certo punto, esce da quel cassetto. E così, insieme a quella scena allo specchio, tutto il film è anche in quel monologo in sottofinale, in cui guarda in macchina. E poi in quel finale, sul set, ormai con il trucco e l’abito di scena. Elizabeth, dopo aver vissuto anche troppo la vita del suo personaggio, la mette in scena. E vuole rifare la scena tre volte. Fino a che raggiunge la perfezione. Fino a che Elizabeth è Gracie. E fino a che Natalie Portman diventa così Julianne Moore. Un cortocircuito, un’attrice che si specchia in un’altra. Un gioco complicato e affascinante.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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Notte degli Oscar – Il cinema, piano dopo piano

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L’omaggio di TK Elevator Italia in occasione dell’evento di assegnazione delle statuette d’oro

Li abbiamo visti chiudersi tante volte troppo in fretta, proprio quando i protagonisti ne avrebbero avuto immediato bisogno, scendere troppo rapidamente, oppure bloccarsi, dando inizio a scene impreviste e, in alcuni casi, imprevedibili. Stiamo parlando degli ascensori, i sistemi di mobilità più usati al mondo, che sono stati protagonisti di tante scene cult al cinema, spesso veri e propri espedienti narrativi utilizzati per favorire un certo sviluppo della trama.

Un “luogo” a cui spesso non facciamo caso, sebbene ci passiamo, in media ogni anno, 16 ore della nostra vita, ma che, se ci fermiamo a riflettere, ci fa venire sicuramente in mente una scena cult di qualche film.

In occasione degli Oscar, TK Elevator Italia vuole celebrare il più famoso premio cinematografico selezionando alcune scene di film candidati agli Oscar nel corso dei decenni ambientate in ascensore, che hanno raccontato alcuni aspetti e l’evoluzione di questo sistema di mobilità.

A partire da uno dei modelli più antichi, quelli dotati di fune: come l’ascensore utilizzato in Batman begins (il primo della trilogia del regista Christopher Nolan), azionato con una manopola, che porta in salvo Bruce Wayne e il maggiordomo Arthur, i quali riescono a fuggire appena in tempo dalla villa che sta andando a fuoco dopo l’attacco di Ra’s al Ghul, intenzionato a distruggere Gotham. Una scena che racconta la caduta metaforica del protagonista, vivo grazie all’intervento del maggiordomo, ma anche il rapporto speciale tra i due: “Perché cadiamo signore? Per imparare a rimetterci in piedi.”, afferma il vecchio Arthur.

Un modello, quello degli ascensori a fune che risale al 1852 e da oltre 170 anni è il sistema di trazione più diffuso e utilizzato, ma che solo in tempi recenti è stato reingegnerizzato e reso ancora più sicuro ed efficiente con la trazione a cinghia.

Anche in Grand Budapest Hotel, diretto da Wes Anderson e vincitore di 4 premi Oscar, l’atmosfera retrò dell’opera ha uno dei suoi fulcri narrativi proprio nell’ascensore rosso e d

otato di addetto, quel “Lobby boy” che diventa il confidente di Monsieur Gustave H, un po’ come succedeva anche in Pretty woman, film per il quale Julia Roberts ricevette la candidatura come migliore attrice protagonista.

Questa figura professionale, che era molto comune trovare sui primi ascensori manuali, poiché era necessario attivare la leva di manovra per portare il sistema al piano desiderato, oggi rimane solo in pochi luoghi, come hotel di lusso, anche se si tratta solo di un servizio aggiuntivo “di cortesia”, in quanto i sistemi oggi utilizzati, grazie all’automazione, non necessitano obbligatoriamente di questa presenza.

Proprio grazie all’automazione e ai progressi tecnologici, in tempi più recenti sono nati anche sistemi innovativi che, grazie all’intelligenza artificiale, permettono all’utente di selezionare il piano prima di accedere all’ascensore attraverso un totem (il cosiddetto destination dispatch), e applicazioni che permettono di chiamare l’ascensore al proprio piano. Una rivoluzione tecnologica ma anche sociale, che permette di risparmiare tempo e, a volte, anche di evitare interazioni con altre persone per sapere dove si stanno dirigendo. Una situazione non possibile negli anni ’80, all’epoca di un altro film da Oscar e assolutamente iconico come Ghostbusters, nella scena in cui un anziano signore si ritrova ad attendere l’ascensore insieme ai tre protagonisti in assetto da acchiappafantasmi, ma decide di aspettare il successivo per non salire con quelli che crede siano disinfestatori.

E come non pensare alla scena di Blade Runner, ambientato in un futuristico 2019, in cui Rick Deckard (Harrison Ford) sale al 97 piano per arrivare al proprio appartamento e viene sorpreso da Rachael, che vuole capire se è un’umana o una replicante. Un ascensore sicuramente particolare dal punto di vista tecnico, con un tastierino simile a quello del telefono (ha cifre singole e si può comporre il numero del piano desiderato) e dotato di riconoscimento vocale, ma che ha anche un’altra particolarità, che riguarda la velocità di ascesa. Si può stimare che per fare 97 piani in circa 20 secondi, l’ascensore si muova a circa 75 km/h, ovvero più rapidamente dell’attuale ascensore più veloce al mondo, installato in Cina, che raggiunge i 73 km/h.

Anche il nostro Paese può contare su un impianto ascensoristico particolarmente rapido ed è quello di TK Elevator Italia che si trova a Milano, nel palazzo di Regione Lombardia: potrebbe viaggiare a 10 metri al secondo (circa 40 km/h) ma per garantire maggior comfort ai passeggeri la velocità impostata è ridotta a 8 metri al secondo (circa 30 km/h).

Non è stato invece un ammodernamento tecnologico degli ascensori, ma un’innovazione introdotta nelle cabine per il comfort dei passeggeri, a rendere più leggera una scena di dolore in È stata la mano di Dio, candidato agli Oscar come miglior film straniero. Marriettello (Lino Musella) disegna, infatti, un disegnino osceno sullo specchio dell’ascensore per risollevare in qualche modo Maria (Teresa Saponangelo), che piange nella cabina per il tradimento del marito Saverio (Toni Servillo).

L’introduzione degli specchi negli ascensori ha preso il via alla fine del XIX secolo, essenzialmente per due motivi: per dare l’impressione che lo spazio della cabina sia più ampio e per permettere ai passeggeri di riuscire a vedere cosa avviene nell’ambiente attorno a sé. Un elemento che a uno sguardo meno attento può sembrare solo decorativo, ma che ha invece una grande importanza in termini di accessibilità: permette infatti a chi si muove in carrozzina, ad esempio, di entrare ed uscire con maggiore sicurezza e facilità, soprattutto negli ascensori dove sono già presenti altri passeggeri.

“Accessorio” che, invece, caratterizzava gli ascensori di un tempo ed oggi non esiste più in Italia era il pulsante di “stop”, abolito per legge nel 1999 per motivi di sicurezza: questi tasti potevano essere facilmente abusati o utilizzati in modo non sicuro da parte dei passeggeri, causando disagi o mettendo in pericolo gli altri utenti. Proprio lo stesso anno, però, il bottone è stato utilizzato come espediente narrativo in Essere John Malkovich, altro film candidato a tre premi Oscar, con una sceneggiatura dai tratti surreali, come quello di immaginare un ufficio al settimo piano e mezzo. Raggiungibile ovviamente tramite ascensore, con l’aiuto del pulsante stop e di un piede di porco.

Proprio per garantire maggiore sicurezza, molti ascensori moderni hanno introdotto sistemi innovativi, come videochiamate di assistenza o sensori ottici per monitorare costantemente l’ascensore e rispondere prontamente a eventuali situazioni di emergenza.

Surreale, ma più che altro futuristico è, infine, uno dei più famosi ascensori della storia cinematografica e non solo: parliamo del Wonka ascensore, che ha la particolarità di muoversi in ogni direzione ed è ormai nell’immaginario di tutti. Un’idea, nata negli anni ’60 dalla fantasia di Roald Dahl e trasportato nella pellicola Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, candidata agli Oscar nel 1971, che oggi è però diventata realtà con MULTI, l’ascensore presentato da TKE nel 2017, in grado di muoversi sia in verticale che in orizzontale. Ciò è reso possibile grazie a un sistema rivoluzionario di cabine senza funi che si spostano con la trazione magnetica: una vera rivoluzione nel concetto di mobilità verticale. Per il “su e fuori”, invece, c’è ancora da lavorare…

Perché a meno di non essere Barbie, che può planare dal tetto direttamente alla macchina, come mostrato nel successo al botteghino dello scorso anno e in corsa agli Oscar di quest’anno con ben otto nomination, per ora, e sicuramente per il futuro più prossimo, l’ascensore è il miglior mezzo per andare su e giù, e in qualche caso anche di qua e di là.

Batman Begins (2005, Warner Bros.) – Diretto da Christopher Nolan, ha ricevuto una nomination agli Oscar 2006 per la migliore fotografia.

Gran Budapest Hotel (2014, 20th Century Fox) – Diretto da Wes Anderson, agli Oscar 2015 ha ricevuto 4 premi: miglior trucco e acconciatura; migliore colonna sonora originale; migliore scenografia; migliori costumi.

Pretty woman (1990, Warnes Bros.) – Diretto da Garry Marshall, ha ricevuto una nomination agli Oscar 1991 per la migliore attrice protagonista.

Ghostbuster (1984, Columbia Pictures) – Diretto da Ivan Reitman, ha ricevuto due nomination agli Oscar del 1985: migliori effetti speciali e miglior canzone.

Blade Runner (1982, Warner Bros.) – Diretto da Ridley Scott, ha ricevuto due nomination agli Oscar del 1983: migliori effetti speciali e migliore scenografia.

È stata la mano di Dio (2021, The Apartment Pictures) – Diretto da Paolo Sorrentino, ha ricevuto una nomination agli Oscar 2022 per il migliore film straniero.

Essere John Malkovich (1999, Universal Pictures) – Diretto da Spike Jonze, ha ricevuto tre nomination agli Oscar del 2000: miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior attrice non protagonista.

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (1971, Paramount Pictures) – Diretto da Mel Stuart, ha ricevuto una nomination agli Oscar 1972 per migliore colonna sonora.

Barbie (2023, Warner Bros.) – Diretto da Greta Gerwig, ha ricevuto otto candidature agli Oscar di quest’anno: miglior film; miglior attore non protagonista; miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura non originale; miglior scenografia; migliori costumi; 2 brani candidati per la miglior canzone originale.

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